Il numero chiuso come le quote rosa? Ovvero solo una soluzione transitoria, un vincolo

Il numero chiuso come le quote rosa? Ovvero solo una soluzione transitoria, un vincolo
Il numero chiuso come le quote rosa? Ovvero solo una soluzione transitoria, un vincolo imposto, sperando che induca un cambiamento che sposti la traiettoria di sviluppo verso cui...

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Il numero chiuso come le quote rosa? Ovvero solo una soluzione transitoria, un vincolo imposto, sperando che induca un cambiamento che sposti la traiettoria di sviluppo verso cui Venezia sembra ormai essersi indirizzata, con il rischio di diventare una meravigliosa Disneyland? Oppure una soluzione estrema di fronte a una deriva che appare ormai ingovernabile e si può solo cercare di arginare per riportare un po' di ordine, di pulizia e di salvaguardia, per altro necessaria e auspicabile, di questo fragilissimo gioiello?

In entrambi i casi, una soluzione comprensibile, e forse necessaria, ma che da sola non sarà in grado di risolvere i problemi nascosti e mascherati dal flusso costante dei visitatori: le case vuote, i negozi trasformati in tante bancarelle di souvenir, le targhette sempre più diffuse delle locazioni turistiche, la chiusura e il trasferimento dei servizi pubblici e delle attività professionali, il venir meno delle attività di servizi e di commercio destinate ai (pochi) residenti, la mancanza di lavori non legati al turismo.
Ed è qui il problema: a Venezia si è imposta da decenni, senza alcuna vera contrapposizione, soprattutto politica, una monocultura turistica che ha ridotto la complessità del territorio in termini di opportunità, attività, competenze richieste, lavori disponibili che oggi rendono impossibile immaginare di cambiare rotta senza rischiare di lasciare intere famiglie senza lavoro, di privare la città della sua principale fonte di reddito e di rendita. Basti pensare al tema Grandi Navi e di cosa significhi la scelta di eliminarle per il Porto e i suoi lavoratori, o ricordare Venezia nei mesi successivi al lockdown: bellissima, ma con tutte le saracinesche abbassate non solo in Piazza San Marco.
Eppure, a ben vedere, sotto le ceneri la città è viva più che mai, si moltiplicano le iniziative culturali, sociali, imprenditoriali, gli artigiani: se ne può leggere qualche esempio sulla pagina Venetians di Facebook, tra artisti, scenografi, maestri d'ascia, innovatori, produttori cinematografici, startupper in ambito digitale o della sostenibilità, storici, medici di eccellenza, manager della cultura, pasticceri, e così via.
In altri termini, il terreno è fertile, la linfa vitale è ancora rigogliosa, ma sembra mancare un progetto di medio-lungo periodo per invertire la rotta, preparandosi ad affrontare una transizione che porterà sicuramente con sé delle tensioni, delle inefficienze, degli squilibri di cui chiunque siederà a Ca' Farsetti dovrà farsi carico. Magari prendendo spunto da quanto fatto in altri contesti, anche lontani, come Boston, che hanno saputo lasciare spazio alle iniziative della cittadinanza e contemporaneamente usato gli spazi disponibili (l'Arsenale? San Basilio?) per attrarre economie diverse da quella turistica.

Altrimenti non resta che comprare il biglietto, ché il Museo Venezia alle 22 chiude
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Il Gazzettino