Il lungo brivido di dem e grillini: «Comunque vada, niente elezioni»

Il lungo brivido di dem e grillini: «Comunque vada, niente elezioni»
IL RETROSCENAROMA Non è un caso che proprio l'altra notte, a tre giorni dal voto in Emilia Romagna, il governo abbia varato il taglio del cuneo fiscale per 16 milioni di...

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IL RETROSCENA
ROMA Non è un caso che proprio l'altra notte, a tre giorni dal voto in Emilia Romagna, il governo abbia varato il taglio del cuneo fiscale per 16 milioni di lavoratori e, soprattutto, abbia stanziato 28 milioni per le zone romagnole ed emiliane colpite l'anno scorso dall'alluvione. Con i sondaggi riservati che danno il risultato sul filo, i rosso-giallo ricorrono ad armi antiche per rastrellare consenso. «Sono senza vergogna», ha tuonato Matteo Salvini. «Abbiamo fatto il nostro dovere e ciò che avevamo promesso», ha ribattuto il premier Giuseppe Conte.

Per quanto riguarda il dopo, nella maggioranza è un coro. Dal premier al segretario dem Nicola Zingaretti, dal probabile nuovo capodelegazione dei 5Stelle Stefano Patuanelli a (perfino) Matteo Renzi, tutti a dire che «per il governo qualunque sarà il risultato non cambierà nulla». Ciò è però vero fino a un certo punto. «Se si perde», spiega un ministro del Pd, «l'impatto sarà molto pesante e non si potrà fare finta di niente. Ma da qui a dire che ci arrederemo all'ineluttabilità delle elezioni anticipate, ce ne corre. La posta in gioco è troppo alta: sarebbe folle consegnare il Paese alla destra pericolosa di Salvini, tanto più che nel 2022 si elegge il nuovo capo dello Stato...». Ed è per questo che a metà mese Zingaretti ha riunito nel convento di Contigliano gli stati maggiori dem al grido, «comunque vada in Emilia il governo andrà avanti».
A costituire un elemento di stabilità, c'è poi l'istinto di sopravvivenza e di attaccamento della poltrona dei parlamentari (anche di Forza Italia), che non intendono tornarsene a casa. A maggior ragione con i seggi ridotti di un terzo: il governo pensa di anticipare al 5 aprile il referendum sul taglio dei parlamentari, per rendere più difficile la strada verso il voto anticipato.
Eppure, l'eventuale sconfitta sulla via Emilia inevitabilmente destabilizzerebbe i rosso-gialli. L'allarme è altissimo. Dopo le dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico dei 5Stelle, anche Zingaretti potrebbe lasciare. Del resto il segretario dem ha già aperto la stagione congressuale parlando di «rifondazione del Pd». «E se Nicola lascia tutto sarebbe più difficile...», sussurra spaventato un grillino di alto rango.
SCENARIO DI TREGENDA
I contraccolpi potrebbero non fermarsi qui. Con i 5Stelle colpevoli strappato voti al governatore uscente Stefano Bonaccini, il Pd potrebbe presentare il conto. Sia in termini di dossier, come le concessioni autostradali e la riforma della giustizia. Sia di peso nell'esecutivo. «Saremo esigenti», anticipa Zingaretti. E c'è perfino chi adombra la possibilità di un nuovo governo, questa volta guidato da Dario Franceschini, sotto la regia di Renzi che ha due obiettivi: evitare le elezioni e disarcionare Conte, il suo potenziale competitor elettorale.
C'è da dire che lo stesso potrà valere per i 5Stelle: Di Maio ha detto che gli stati generali di marzo serviranno a decidere cosa sono i grillini. Se sono nel campo progressista, come vorrebbero Peppe Grillo, Conte, Patuanelli. Oppure, se devono restare «ago della bilancia», come propone Di Maio. Ciò per forza di cose potrebbe innescare una guerra sui dossier (compreso lo scudo penale per l'ex Ilva) con il Pd e Renzi. E rendere ancora più faticosa, incardinata sulla tattica del rinvio, la vita del governo.
Uno scenario conflittuale che resta valido anche in caso di vittoria di Bonaccini in Emilia. «Ma con il Pd nel ruolo di mazziere e i grillini speriamo più collaborativi, ora che non c'è più il corpo estraneo Di Maio nel ruolo di capo politico del Movimento», dice un altro ministro dem.

Resistere, se l'Emilia dovesse voltare a destra, non sarebbe facile. Per i rosso-gialli arriverebbero giorni durissimi. Giorgia Meloni già annuncia una «moral suasion» sul Quirinale per ottenere elezioni. E Salvini farà di tutto per dare la spallata. In gioco è anche la sua sopravvivenza politica: se la legislatura dovesse andare avanti il leader della Lega andrà a processo per il caso Gregoretti. E, se condannato, dovrebbe abbandonare il Parlamento e diventerebbe ineleggibile.
Alberto Gentili
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino