I progressisti sono una minoranza nel Paese? O la loro rappresentanza è minoritaria

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I progressisti sono una minoranza nel Paese? O la loro rappresentanza è minoritaria perché è divisa? Non intendo dal punto di vista organizzativo, la pluralità di partiti e movimenti è una ricchezza. Parlo di divisione anzi, conflitto, sulle proposte, di non riconoscimento reciproco delle differenze, di non consapevolezza della parzialità di ciascuno. Non sono le permanenti litigiosità e lotte intra e inter partitiche le cause delle sconfitte, della dispersione del potenziale di attrazione e consenso? Tra i progressisti (centrosinistra è riduttivo, il campo è quello più largo, di un nuovo umanesimo politico) c'è bisogno di meno discussioni tra sordi e di maggiori azioni condivise. Se volete che gli uomini si capiscano fategli costruire qualcosa insieme. Le divisioni non sono un destino ineluttabile. Negli anni 50, ci racconta Lakoff, le svariate tipologie di conservatori USA si odiavano profondamente. Quelli legati al mondo finanziario non sopportavano quelli sociali, che a loro volta non reggevano i libertari che ce l'avevano con quelli religiosi. Conservatore era quasi una parolaccia.  Come ribaltarono i repubblicani l'egemonia progressista?  Investirono in centri di ricerca, in formazione di quadri e sostenitori, crearono propri media. E si costrinsero a stare uniti. Per vent'anni ogni mercoledì i leader conservatori delle diverse correnti si incontravano allo scopo di comprendere le divergenze, a superarle mediando, e, quando non era possibile, a cedere, di volta in volta, su uno specifico punto. Perché non fare la stessa cosa nel campo largo di sensibilità progressiste composto da partiti, movimenti, associazioni? Cominciamo nel complicato ma strategico Veneto a costringerci ad incontrarci e a venirne fuori con accordi,  passo dopo passo in avanti? Nel Pd Veneto c'è la volontà di attrezzarsi per la futura campagna elettorale. Si parla di cabina di regia. Bene. Ma si vada oltre il Pd, verso l'inclusione, l'ascolto, l'allargamento. Non sia un organismo di pura composizione di equilibri tra correnti del Pd.  Lancio una proposta. Costringiamo tutti i soggetti a incontrarsi, ogni settimana, ad un giorno fisso. Come minimo per superare divergenze, mediare, costruire un programma condiviso. Ma soprattutto, fatto salvo il focus sulla imminente ormai campagna elettorale, per lavorare sul lungo periodo. Facciamo in modo che donne e uomini progressisti costruiscano delle cose insieme. A partire dall'investimento in ricerca e studio, in  formazione permanente e di qualità per quadri e sostenitori, in comunicazione intesa come capacità di entrare in relazione, di produrre esperienze positive, con metodi aggiornati per fare porta a porta, con strumenti di autoproduzione di informazione. A partire dall'elaborazione non solo di contenuti ma di campagne d'azione, radicate nelle comunità, con obiettivi specifici, con la capacità di far accadere il cambiamento, campagne sulle quali caratterizzare in positivo l'opposizione da fare alla nuova Lega nazionalista e assistenzialista di Salvini, ormai lontana dai mondi dell'impresa e del lavoro e dalla cultura dell'autonomia come assunzione di responsabilità nell'uso delle risorse. La proposta di governo ombra di Carlo Calenda non ha riscosso successo nel Pd. Esperienze negative precedenti e un non chiaro scopo sociale possono essere obiezioni fondate. Ma se vedessimo questo insieme di competenze impegnato non solo a fare le pulci al Governo in carica ma a governare dall'esterno, la prospettiva si farebbe più interessante. Sperimentiamo un governo ombra del Veneto, con personalità del variegato arcipelago progressista, con esperienze, competenze e capacità di rappresentanza comprovate, impegnato a costruire azioni di governo dall'opposizione. Senza perdersi in vasti programmi, ma partendo da proposte mirate, da interventi concreti. Vere e proprie campagne d'azione, su questioni regionali in grado di mobilitare popolo e non solo i militanti, e con risultati precisi da portare a casa. 

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Il Gazzettino