Dal pugno duro alla visita con Elisa dal Cav i tanti moduli di gioco del capitano leghista

Dal pugno duro alla visita con Elisa dal Cav i tanti moduli di gioco del capitano leghista
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IL PERSONAGGIO
ROMA «Essere John Malkovic» è un grande film. Essere Matteo Salvini è un work in progress. Ma è arrivato il momento, visto che entro il fine settimana Salvini avrà concluso positivamente o no la sua prima operazione da leader del centrodestra, di provare a decodificare la sua strategia. Che ha nel fattore tempo un punto fermo. Ossia: festina lente (affrettati lentamente). Il leader più arrembante che c'è (basti pensare alla frenetica campagna elettorale e all'uso estremo dei social) è anche quello che non forza nelle scelte e aspetta che maturino le situazioni. Esempio: Salvini ha atteso che non si aprissero tutte quelle porte Pd che Di Maio pensava si potessero spalancare, e ora che Giggino non ha più il forno dei dem utile alla propria strategia per formare una maggioranza, il leader leghista può trattare con lui con una forza maggiore di quella che aveva pochi giorni fa. Una forza che si è dato anche grazie al doppio format usato con Berlusconi.

DIPLOMAZIA
Nei primi giorni post-voto, ha chiarito in maniera più che esplicita, ma mai davvero contundente, chi avesse vinto (lui) e chi avesse perso (Silvio) il 4 marzo. Poi ha fatto sfogare tutte le paure di Berlusconi - e le minacce forziste sulle crisi nei governi regionali, rivelatesi un'arma abbastanza spuntata - per smussarle e farle rientrare a colpi di telefonate e di vertici carezzevoli, anche oggi i due si vedranno insieme alla Meloni, e cambiando gradualmente la propria fisionomia agli occhi di Berlusconi. Non più quello che pensa anzitutto e soltanto agli interessi della Lega ma il leader dell'intera coalizione di centrodestra. Capace di sacrifici rassicuranti (Paolo Romani e non un leghista può diventare presidente del Senato) e in grado di trascinare il recalcitrante Cavaliere nel dialogo con i grillini.
La presidenza del Senato a Forza Italia per guadagnare un credito da Berlusconi su tutto il resto? La strategia di Salvini si compone di queste sottigliezze. Rispetto alle quali il Cavaliere un po' diffida e un po' non ha la forza (l'alleato-rivale ha nelle mani l'arma del voto subito che è ciò che più terrorizza l'ex premier) di rintuzzare. Salvini si è presentato, per rassicurare Zio Silvio e per neutralizzarne le mosse di tipo lettiano accarezzandolo, a Palazzo Grazioli l'altro giorno insieme alla fidanzata Elisa Isoardi. Ha usato la carta diplomatica femminile Matteo, ben sapendo quanto questa sia efficace con Berlusconi e soprattutto quanto sia adatta la Isoardi a piacere e a tranquillizzare il padrone di casa. In quanto è ragazza solare, priva di retorica femminista («Io da donna non farò mai ombra al mio uomo») e per di più proprietaria di un inseparabile cagnolino - una specie di Dudù in grigio e meno impomatato del quadrupede berlusconiano - e di barboncini e dintorni s'è parlato assai in questa visita diplomatica. Alla quale Elisa è andata vestita in maniera istituzionale da first lady già in carica (messaggio che Silvio non può non aver colto) con tanto di filo di perle, mentre lui si è presentato con una giaccona a vento da Pratone di Pontida. Come a dire: Elisa concava e io convesso.
TRA PUTIN E TRUMP

E' sempre così Salvini, si muove su due registri - tra me e te comando io, ma io so bene che senza il resto della coalizione valgo solo il 17,3 per cento - e non lo fa soltanto rispetto a Berlusconi, ma su tutto. Continua a girare l'Italia come fosse in campagna elettorale, ma tratta con tutti nel Palazzo. Ha abolito la felpa, e predilige il blazer, ma scravattato. Ha fatto cadere il veto di Silvio sui grillini, ma con i grillini ci tratto io. Ruba pezzi di Forza Italia, che arrivano alla Lega, sia a Nord sia a Sud, ma non rivendica mai lo smottamento in atto. Esulta per la vittoria di Putin, ma oggi - nella sua strategia di accreditamento internazionale - incontra l'ambasciatore americano Lewis Eisenberg ma puntualizza: «Non abbiamo bisogno di accreditarci, siamo sempre stati dalla parte di Putin». Essere John Malkovic è più affascinante, ma essere Matteo Salvini significa convivere con un'infinità di sfaccettature che non sono quelle di un barbaro sognante.
Mario Ajello
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino