«Da ragazzo lavoravo nel cantiere ora il crollo davanti ai miei occhi»

«Da ragazzo lavoravo nel cantiere ora il crollo davanti ai miei occhi»
«Quel ponte ho contribuito a costruirlo, negli anni Sessanta. Le vede quelle due bretelle? Posso dire di averle fatte io», indica Pasquale Ranieri, settantenne che si stringe...

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«Quel ponte ho contribuito a costruirlo, negli anni Sessanta. Le vede quelle due bretelle? Posso dire di averle fatte io», indica Pasquale Ranieri, settantenne che si stringe nella vestaglia accanto alla moglie, anche lei in veste da casa e cellulare stretto forte in mano. In via Walter Fillak, a pochi metri dalle transenne che impediscono di avvicinarsi a quel che resta del ponte Morandi, prosegue l'evacuazione delle case di Rivarolo.

Originario della Campania, Ranieri quel ponte lo conosce bene: è stato il suo maestoso e rumoroso panorama, attraverso la finestra di casa, e soprattutto ha lavorato alla sua edificazione tra il 1963 e il 1967.
Fresco di emigrazione nel capoluogo ligure, era arrivato a Genova come carpentiere edile. È stato tra le maestranze che hanno reso possibile quell'opera infrastrutturale di alta ingegneria, progettata dall'architetto Morandi, che all'epoca venne considerata un capolavoro della modernità.
«Non ci posso credere che è crollato, sotto ai miei occhi, noi abitiamo proprio a due passi da qui. Anche mia figlia vive in via Porro, adesso la sto aspettando per andare via, forse a casa di parenti, non sappiamo ancora - racconta scuotendo la testa - Ricordo ancora il giorno dell'inaugurazione, il 4 settembre 1967. Fu un evento in pompa magna, c'era persino il presidente della Repubblica Saragat».
IL RICORDO
All'epoca nell'edilizia si utilizzava cemento armato precompresso, un'innovazione lanciata dallo stesso Morandi: «Noi operai avevamo la percezione di lavorare ad un'opera importante, indistruttibile. Ne eravamo orgogliosi. Il cemento lo tiravamo al massimo, ma allora si faceva così». In seguito, però, quella struttura ha mostrato più di una falla e per i genovesi era un gigante dai piedi di argilla.
Cinquantamila metri cubi di calcestruzzo, tre piloni alti 90 metri e oltre un chilometro di estensione: era frequentatissimo dai pendolari e tuttavia da sempre oggetto di polemiche per i continui lavori di manutenzione che ne implicavano la frequente chiusura.
Non è la Lanterna, ma di certo era un simbolo della città: i genovesi lo hanno sempre chiamato ponte di Brooklyn, affettuosamente ma anche con un pizzico di soggezione.

E. M. C.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino