«Così dopo l'Aqua granda ho fatto funzionare il Mose»

«Così dopo l'Aqua granda ho fatto funzionare il Mose»
Determinata, orgogliosa del suo ruolo di tecnico, attenta ad evitare commenti su temi sensibili. Elisabetta Spitz, architetto, già direttore del Demanio, è il commissario scelto...

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Determinata, orgogliosa del suo ruolo di tecnico, attenta ad evitare commenti su temi sensibili. Elisabetta Spitz, architetto, già direttore del Demanio, è il commissario scelto dal Governo all'indomani del 12 novembre 2019 per rimettere in moto i lavori (all'epoca a rilento) del Mose. Ora è anche tra i candidati in pole position per guidare la futura Autorità della laguna. Nomina pesante, per cui cresce l'attesa. «Non è un tema che mi riguarda. Io ho un incarico e quello svolgo» obietta Spitz che, in questo primo anniversario dell'Acqua Granda, racconta invece i suoi primi mesi di lavoro, rivendica i risultati raggiunti, non nasconde le incognite del futuro.

Architetto, come è stato il suo insediamento a Venezia?
«Venezia è una delle pochissime città che ho nel cuore. L'esperienza veneziana degli anni 90, quando ho lavorato per la salvaguardia, per me è stata straordinaria. Per un architetto urbanista, quale io sono, Venezia ha tutto: l'acqua, la terra, le città doppia, la laguna e l'ambito demaniale. Anche da ex direttore del Demanio è stato un ritorno importante su temi già affrontati. Che ora ho la possibilità di chiudere».
Lei è stata nominata dopo un'emergenza eccezionale. Ne ha sentito il peso?
«Ho sentito la responsabilità di arrivare al 12 novembre del 2020 con una città non più indifesa. L'ho sentita fortissima e ho lavorato per questo obiettivo. Quando sono venuta a Venezia e ho trovato i campi pieni di materassi, di mobili, sono rimasta profondamente impressionata».
Che metodo di lavoro ha adottato?
«Ho cercato di capire come incidere sull'andamento dei lavori, modificando in parte le priorità».
Perché i cantieri andavano a rilento?
«C'era un modo di lavoro a cui ho imposto delle variazioni. Il Mose è un'opera ridondante, tutto è doppio per la sicurezza. Prima si portavano avanti tutti i lavori in contemporanea, io mi sono posta l'obiettivo di portare avanti prima una parte per rendere efficiente il sistema e metterlo in funzione».
Perché non si era fatto prima?
«Sono arrivata in un momento in cui questo era possibile: finite le opere edilizie, mancavano solo gli impianti».
Ci sono state tensioni, però, con il Consorzio Venezia Nuova.
«È normale. Ci vuole tempo per abituarsi ai propri compagni di viaggio, non è semplice. Verso un commissario c'è sempre una certa diffidenza. Vanno trovate le giuste relazioni».
Le cronache di questi mesi raccontano di una rapporto più facile con il Provveditorato, difficile con gli amministratori straordinari del Cvn. Perché?
«Io ho una cultura istituzionale radicata. Sto sempre dalla parte dello Stato, del concedente, non del concessionario».
Il rapporto tra le due parti era già teso prima del suo arrivo. Come lo spiega?
«In Italia il partenariato pubblico-privato è molto difficile per problemi culturali. Le parti trovano difficile lavorare insieme. Non è questione di persone, ma di ruoli».
Il suo rapporto con gli amministratori?
«Di grande disponibilità. Per me prioritario è chiudere il Mose, lavoro con tutti nei ruoli che vanno rispettati. Sostanza e forma sono necessari».
Perché se n'è andato il terzo commissario, Vincenzo Nunziata, a pochi mesi dalla nomina?
«Aveva chiaro che i tempi del Cvn erano agli sgoccioli».
Ora per il Mose si apre un'altra fase.
«Finalmente finisce il cantiere: il Mose esiste, funziona, si tratta di tenerlo in efficienza e, pian piano, risolvere i problemi. Il prossimo passo sarà la nomina del liquidatore del Cvn. L'ultimo anno di cantiere sarà di progressivo passaggio di consegne al liquidatore che, a sua volta, consegnerà l'opera allo Stato. Il Mose è un'opera che va iscritta al patrimonio dello Stato. Abbiamo pagato per questo».
Anche troppo, se pensiamo alle tangenti...
«Ometto il giudizio su questo».
E con la nuova Autorità le cose funzioneranno meglio?
«Del Mose si occuperà la società in house dell'Autorità, che avrà il ruolo tecnico di gestione e manutenzione del sistema. L'Autorità avrà competenza sull'intera laguna».
La scadenza del 31 dicembre 2021 sarà rispetta?
«Sì, per quella data l'opera sarà consegnata e già in corso di collaudo. Non so quanto durerà il collaudo, meno dei tre anni di avviamento. Per opere come queste il percorso di messa a regime richiede tempo».
E i tempi delle opere di compensazione ambientale?
«Non so dirglieli ad oggi. Ne cominceremo a discutere al tavolo nei prossimi giorni. Dobbiamo definire le priorità, sono opere importanti per la città».
C'è anche il recupero dell'Arsenale. La manutenzione del Mose andrà a Marghera?
«Sicuramente la manutenzione straordinaria del Mose non potrà essere fatta all'Arsenale. Questa è una linea di indirizzo chiara. Di più non posso dire al momento».
La quota di sollevamento del Mose in questa fase resterà a 130 o potrà scendere?
«130 è stata scelta perché non tutti i compressori sono montati. È troppo presto per dire se possiamo impegnarci ad una quota inferiore, se possiamo scendere a 120 il prossimo autunno. Ma un anno fa io non c'ero, non si pensava di poter alzare il Mose a luglio, né di cominciare ad usarlo ad ottobre. Vedremo...».
Intanto, con acque alte sotto i 130, parte della città andrà sott'acqua e si dovranno usare gli stivali.
«Lo so perfettamente. Gli stivali andranno ancora messi. Non possiamo intervenire continuamente con i sollevamenti in un cantiere funzionante. Abbiamo anche il Covid da gestire. E non riesco a fare previsioni a 12 mesi con tante incognite».
L'aspetto più positivo e il più negativo di questi mesi?
«Quello negativo, proprio il Covid. È motivo di grande preoccupazione. L'istinto, con il primo lock down, era quello di chiudere il cantiere, mandare tutti a casa. Poi con la prospettiva del 12 novembre... Quello positivo, la commozione, l'incredulità di tutti di fronte al Mose in funzione. Dalla prima volta a luglio, in barca, con il premier e le ministre ad aspettare che si alzasse, fino all'ultima con il metro di dislivello tra mare e laguna».
Ultima domanda: che effetto le fa lavorare in un gruppo tutto di donne, dal provveditore alla ministra?

«Non sono mai stata particolarmente femminista, non credo a questa retorica. Da tecnico, per me conta lavorare con persone serie. E sono fortunata perché lavoro con persone serie».
Roberta Brunetti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino