Bomba alla moschea, due alla sbarra

Bomba alla moschea, due alla sbarra
Danneggiamento pluriaggravato da finalità di discriminazione etnica e religiosa. È questa l'accusa dalla quale dovranno difendersi, davanti ai giudici del Tribunale collegiale,...

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Danneggiamento pluriaggravato da finalità di discriminazione etnica e religiosa. È questa l'accusa dalla quale dovranno difendersi, davanti ai giudici del Tribunale collegiale, due ex esponenti di Forza Nuova, rinviati a giudizio ieri mattina dal giudice dell'udienza preliminare Mariella Fino. Per il pubblico ministero Sergio Dini sono gli autori dell'attentato del 10 dicembre 2015 al Centro Islamico Bengalese di via Jacopo da Montagnana, all'Arcella. Gli imputati sono Simone Iscaro e Diego Vecchiato, entrambi quarantaduenni, difesi dagli avvocati Giovanni Adami e Ernesto Chirico. Quando si colpisce un edificio di culto scatta l'applicazione della legge Mancino.

Gli investigatori della Digos erano risaliti ai due intercettando alcune conversazioni telefoniche di un paio di responsabili del movimento. In particolare è finita nel mirino dei poliziotti un lungo dialogo in cui un dirigente del movimento invitava uno degli indagati a confessare e ad prendersi le proprie responsabilità. E le celle dei telefoni cellulari di entrambi sono state localizzate all'Arcella nella fascia oraria in cui è stata lanciata la bomba carta contro la porta d'ingresso dell'edificio al civico 7, adiacente al luogo di preghiera, in cui risiedono cinque famiglie di cittadini bengalesi e cingalesi. Gli imputati hanno sempre ammesso la loro presenza in quartiere a quell'ora. Ma sarebbero stati impegnati in un'attività di volantinaggio. La Digos non era riuscita a trovare filmati. Le telecamere di videosorveglianza della zona non avrebbero prodotto sequenze significative.

Il boato aveva squarciato il silenzio della notte. Era mezzanotte e mezza. Un ordigno artigianale, in pratica una bomba carta, era stato lanciato contro la porta in legno della palazzina. Un infisso di vecchia data danneggiato nella parte sinistra e scardinato a suon di calci e spallate. Gli attentatori si erano accaniti contro la porta fino al momento in cui avevano compreso che quella non era la moschea dei bengalesi. Le due strutture sono infatti divise da un cortile, di proprietà della stessa comunità. Da lì si accede direttamente al fabbricato che ospita al primo piano il luogo di preghiera, protetto da una cancellata in ferro sul fronte strada. In quel momento nella moschea non c'era anima viva. Le attività di culto si erano concluse attorno alle venti. I residenti erano stati svegliati di soprassalto. Erano rimasti impietriti dalla paura e si erano barricati in casa. Nessuno di loro aveva trovato il coraggio di uscire fino all'arrivo della polizia. Sul posto gli investigatori della Digos avevano rinvenuto i frammenti della bomba carta, del diametro di circa dieci centimetri, e di una miccia. Si trattava di un rudimentale petardo, simile a quelli abitualmente utilizzati per le festività di Capodanno. Ed erano stati recuperati nei pressi dell'edificio i resti di un fumogeno. Era stato lanciato nell'androne che separa gli appartamenti dalla moschea.
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Il Gazzettino