Altre 380 imprese hanno chiesto di poter tenere aperto

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LE IMPRESEPORDENONE Il messaggio arrivato ieri dalla Prefettura di Pordenone è stato chiaro e perentorio: in piena emergenza sanitaria da coronavirus possono proseguire con...

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LE IMPRESE
PORDENONE Il messaggio arrivato ieri dalla Prefettura di Pordenone è stato chiaro e perentorio: in piena emergenza sanitaria da coronavirus possono proseguire con l'attività lavorativa le ditte che fanno parte del servizio pubblico o delle filiere. Ma anche quelle il cui blocco degli impianti causerebbe troppe difficoltà alla ripresa economica e quelle strategiche (difesa). Scadevano ieri i termini delle aziende per presentare alla Prefettura le richieste per poter tenere accese le macchine. Imprese che devono applicare alle lettera il protocollo dei tredici punti sulla sicurezza e salute dei dipendenti. Alle 800 arrivate mercoledì, ieri se ne sono aggiunge altre 398, di cui autorizzate 325. Sette i provvedimenti di sospensione, un diniego per ditte strategiche e tre autorizzazioni per lo stesso motivo. In Prefettura sono già cominciate le verifiche in base alla documentazione presentate dalle aziende stesse. Un lavoro che proseguirà anche nei prossimi giorni e che al momento ha portato, tra l'altro, a chiedere a più di 300 imprenditori ulteriori garanzie e certificazioni per poter proseguirà nell'attività lavorativa.

Tra l'altro è stato istituito un gruppo di lavoro continuativo con le sigle sindacali e anche ieri mattina, a questo proposito, si è tenuta una riunione in videoconferenza alla quale hanno preso parte il prefetto Maria Rosaria Maiorino (in foto), il vice prefetto Alessandra Vinciguerra e i coordinatori provinciali di Cigl, Cisl e Uil. «In questo momento così delicato spiega Cristiano Pizzo, segretario provinciale della Cisl è fondamentale che tutti facciano la loro parte. I sindacati, in particolare, hanno aperto un tavolo di confronto con Confindustria Alto Adriatico e i contatti sono frequenti. Bene che ci sia un controllo sulle attività produttive, specie quelle a cui con troppa facilità è stato concesso di cambiare il codice Ateco (attraverso il quale è possibile stabilire la categoria di pertinenza di un'attività) ma ancor di più sui lavoratori. Lo dico credendo fermamente, anche in base alla segnalazioni ricevute, che sino a questo momento si sia guardato più alla produzione che alla salute della maestranze. Un atteggiamento che non va bene anche perché si è soprasseduto con troppa facilità alla misure di sicurezza imposte per i luoghi di lavoro». Pizzo, senza entrare nel dettaglio, parla di situazioni («già segnalate al Dipartimento di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro») in cui ai dipendenti «non erano state nemmeno fornite le apposite dotazioni (gel igienizzate e mascherine di protezione) e non venivano fatte rispettare le distanze minime di sicurezza (un metro tra una persona e l'altra). A quanto pare ora la situazione è decisamente migliorata ma non per questo abbasseremo la guardia».

Alberto Comisso
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino