A Eraclea valeva la legge di Donadio

A Eraclea valeva la legge di Donadio
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ERACLEA
«Le dinamiche criminali del sodalizio capeggiato da Luciano Donadio trovano ampie condivisioni in una parte della popolazione locale che sembra apprezzare le modalità con le quali viene mantenuto l'ordine pubblico all'interno del circondario di Eraclea». Insomma non era solo temuto il capo del clan dei casalesi di Eraclea, Luciano Donadio, ma anche rispettato, se non amato visto che ad esempio il titolare del bar Prima Linea si complimenta con i figli di Donadio perché bisogna «ringraziare a tuo papà se qui stiamo tranquilli ... Io dico sempre quando le persone dicono i mafiosi I mafiosi e io dico noi a Eraclea abbiamo un Don e se non succedono casini è grazie a lui».

TUTTI SAPEVANO
Prova provata del fatto che a Eraclea tutti sapevano chi era Luciano Donadio, ma in molti lo omaggiavano. E vengono i brividi a leggere alcuni passaggi delle 700 e passa pagine che contengono le motivazioni delle condanne nei confronti di 24 imputati nel processo al clan dei casalesi di Eraclea. Si tratta di imputati che hanno scelto il rito abbreviato per accedere agli sconti di pena. Il personaggio più importante è l'ex sindaco Graziano Teso, ma nelle pieghe delle motivazioni si trovano elementi di analisi anche sociologica della comunità decisamente interessanti e che portano a dire che Luciano Donadio e di casalesi erano diventati parte integrante della comunità di Eraclea. Il clan scrive il Gup Michela Rizzi era «una realtà associativa ben radicata e autonoma, ponendosi come interlocutore di persone interessate a perseguire fini non leciti, ma anche per imprenditori o semplicemente creditori che intendevano riscuotere in modo rapido e sicuro i propri crediti verso altri imprenditori locali senza ricorrere alla giustizia civile».
Insomma Donadio e la sua banda, a Eraclea erano l'antistato di cui finora si era letto solo sui libri di mafia. Del resto dalla sua il Don aveva anche qualcuno delle forze dell'ordine, come il comandante Cinquegrana della stazione di Eraclea, che fino al 2007 trattava Donadio come se fosse il sindaco di Eraclea e non un bandito. E la fama funzionava anche con qualche vigile urbano. Tant'è che la vigilessa Amanda ferma il nipote di Donadio e sta per multarlo, quando viene investita da una raffica di insulti ai quali reagisce telefonando a Donadio, che viene chiamato a metter pace. E, infatti, «in numerose altre occasioni Donadio si è vantato che la sua organizzazione criminale casalese era così potente da garantire la sicurezza nel territorio di influenza anche agli occhi delle forze dell'ordine. Che ne riconoscevano e rispettavano il ruolo. E il controllo del territorio risulta essere stato esteso anche la zona di Caorle come comprovato dalle affermazioni dello stesso Donadio intercettate nel 2017».
FINO A CAORLE

Tant'è che nel 2010 «Donadio Luciano ha preteso di impiegare proprio manodopera in alcuni grossi cantieri in Caorle nei quali i lavori erano stati subappaltati dall'imprenditore Casella Claudio a un'impresa calabrese. Noi qua siamo da vent'anni e non passiamo a guardare a voi che siete arrivati da Brescia da 2 anni e avete preso i migliori appalti, quindi noi avendo squadre di carpentieri, piastrellisti dobbiamo fornire a 20 euro l'ora nostra manodopera. Abbiamo anche persone da mantenere in carcere». Il cantiere cui si fa riferimento con tutta probabilità è quello di Ottava Presa al quale era interessata la ndrangheta, gestito da Casella assieme a Marco Parpinel e alla famiglia Zusso di Caorle. Proprio Parpinel rischia gorsso. Vogliono fargli un attentato a casa e si fermano solo perché nel frattempo il cantiere di Ottava Presa è bloccato e non c'è più lavoro per nessuno, nè per i calabresi nè per i casalesi.
Maurizio Dianese
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino