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VICENZA - Ad essere uccisa per prima da Zlatan Vasiljevic, il bosniaco che ieri, 8 giugno, ha sparato a Vicenza all'ex moglie e all'ex compagna prima di rivolgere la pistola contro di sè, è stata proprio Gabriela Serrano, la donna con la quale aveva interrotto da poco una relazione dopo la separazione da Lidia Miljkovic. È quanto emerge dalla ricostruzione degli investigatori.
Gli ultimi istanti prima della strage
Zlatan Vasiljevic ieri ha chiamato di primo mattino l'ex compagna Gabriela Serrano, con la quale aveva interrotto la relazione da alcuni mesi, l'ha spinta a raggiungerlo da Rubano (Padova) a Vicenza con la sua auto. Dopo essere salito sulla vettura l'uomo si è diretto verso il quartiere Vigogna di Vicenza e qui ha ucciso Gabriela con un solo colpo alla nuca. Con il corpo della donna nell'auto è arrivato in via Vigolo e ha atteso l'arrivo dell'ex moglie. Quando ha visto Lidia Miljkovic non ha avuto esitazioni: l'ha uccisa a colpi di pistola. Compiuta la doppia mattanza si è diretto verso la tangenziale di Vicenza e si è suicidato con la stessa pistola, detenuta illegalmente.
L'autopsia
Sarà fatta un'autopsia sui corpi delle vittime del doppio femminicidio di Vicenza. L'esame sarà eseguito anche sul corpo dell'uomo. Sarà effettuata con molta probabilità già nelle prossime ore a Vicenza l'autopsia sui corpi di Zlatan Vasiljevic, suicida e responsabile del duplice omicidio dell'ex moglie Lidia Miljkovic e dell'attuale compagna Gabriela Serrano. Con l'esame, gli investigatori vogliono chiarire l'esatta dinamica dei fatti e mettere un punto a questa tragedia. Da chiarire se Lidia sia stata uccisa a colpi di pistola prima o dopo la morte di Gabriela, il cui cadavere è stato trovato nell'auto insieme a quello dell'omicida.
Il presidente del tribunale Alberto Rizzo
La storia giudiziaria di Zlatan Vasiljevic, insegna che «ci vuole una rete di protezione con una filiera virtuosa». Lo dice il presidente del Tribunale di Vicenza, Alberto Rizzo, ricostruendo l'iter nelle aule di giustizia che ha portato al doppio femminicidio di ieri e al suicidio dell'autore del massacro delle due donne.
«Mi dicono che in Corte d'Appello la misura dell'allontanamento è stata revocata. La misura cautelare ha una durata definita - spiega - oltre la quale cessano naturalmente i suoi effetti». Rizzo dice «che la pena in Corte d'Appello è stata sospesa, non so per quale motivo. In ogni caso la sospensione della pena determina il venir meno dell'esigenza cautelare». «C'era un altro procedimento in corso di celebrazione ed era stato aggiornato per una modifica del capo di imputazione. Quindi i procedimenti penali erano due, uno definito con misura cautelare - riassume - e uno in corso». In questo momento dunque Vasiljevic «non aveva alcun obbligo di non avvicinamento alla moglie perché aveva definito un procedimento, con una condanna passata il giudicato con pena sospesa dalla Corte d'Appello, e per quanto riguarda noi - precisa - c'era un procedimento penale ordinario, a dibattimento». Quindi, «non c'erano misure cautelari nei confronti del bosniaco: quando sono state richieste - rileva Rizzo - sono state applicate». Quanto accaduto porta il Presidente del Tribunale di Vicenza ad una riflessione più generale.
«Può il sistema penale o quello giudiziario impedire in assoluto il verificarsi di fenomeni drammatici come quello accaduto? - si chiede - O si deve intervenire, come io penso, in termini di prevenzione, con il coinvolgimento contributivo di diversi soggetti che devono parlarsi e fare rete anche nel settore del codice rosso?». Per Rizzo «la sola misura penale o parapenale, penso all'ordine di protezione che viene adottato con il 441 bis del codice civile che io applico spesso quando la parte ricorrente nell'ambito di una separazione mi rappresenta di essere oggetto di vessazioni o minacce, è solo un ordine di allontanamento e di non avvicinamento. Ma se poi l'ordine non viene rispettato vuol dire che la misura di per sé contiene il rischio ma non lo neutralizza». La sintesi, per il presidente del Tribunale è che «purtroppo non possiamo pensare a misure cautelare permanenti, il sistema deve dare una risposta di ampio respiro e che coinvolga diversi interlocutori, l'autorità giudiziaria, il coordinamento dei prefetti, l'autorità di pubblica sicurezza, le forze di Polizia, i comuni e i servizi sociali». «Pensare che sia l'autorità giudiziaria, da sola, a neutralizzare il rischio - conclude - è una illusione».
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