Spunta in Cadore un ghiacciaio nascosto ​sotto i larici e gli abeti del pascolo

Emanuele Forte sorride dietro ad un foto sul ghiaccio. E' lui uno dei ricercatori coordinati da Renato Colucci che hanno contribuito a scoprire il deposito a Casera Razzo dopo una serie di indagini
BELLUNO - L’idea che quel pascolo punteggiato di larici e abeti a Casera Razzo potesse nascondere un piccolo tesoro geologico è venuta ai ricercatori delle...

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BELLUNO - L’idea che quel pascolo punteggiato di larici e abeti a Casera Razzo potesse nascondere un piccolo tesoro geologico è venuta ai ricercatori delle università di Trieste guidati da Renato Colucci. Era il 2015 quando lì, a 1800 metri di quota, a ovest dell’edificio che ospitava la malga, a un centinaio di metri dall’incrocio che salendo da Vigo porta a Sauris o in Val Pesarina, a pochi metri dal confine con il Friuli Venezia Giulia, vennero avviate una serie di indagini per verificare la formazione geologica sottostante. Una verifica scientifica che rientra nel contesto di studi incentrati sui cambiamenti climatici e sulle loro conseguenze per l’ambiente.  

GLI STRUMENTI
Furono collocati sensori di temperatura anche su alcune sorgenti che sgorgano in quell’area: il fatto che l’acqua non superasse mai i 2 gradi, neppure in estate piena, ha messo i ricercatori sulla strada giusta; era la prova che lì sotto non c’erano soltanto terra e sassi, ma anche un altro elemento che contribuiva a mantenere così bassa la temperatura: il ghiaccio. Altre complesse misurazioni geoelettriche ne hanno poi confermato la presenza. 
GLI ESAMI
Sono poi state eseguite alcune indagini geofisiche assimilabili per certi versi a quelle usate in diagnostica medica, ma applicate al sottosuolo. Per completare la ricerca sono stati anche applicati specifici algoritmi per la ricostruzione dello strato di sottosuolo in 3d. «È come fare la radiografia di un femore fratturato -spiega Emanuele Forte, uno dei ricercatori che hanno preso parte allo studio- L’osso fratturatio non si vede direttamente, ma appare evidente nelle lastre». Tutti questi piccoli elementi combinati tra loro come tessere di un fantastico mosaico, hanno finito confermare quell’idea iniziale. E la “radiografia” mente: i gelidi blocchi bianco e azzurri non sono visibili materialmente, ma si trovano effettivamente a una profondità di una decina di metri. 
LA QUANTITÀ
La quantità stimata si aggira sul milione di metri cubi, ma nel periodo della sua massima estensione, all’epoca dell’ultima glaciazione, 12mila anni fa, potrebbe aver raggiunto anche i 3.7 milioni di metri cubi. La scoperta, pubblicata sulla rivista scientifica internazionale “Geomorphology”, rivoluziona per certi versi la corrente concezione della struttura dei ghiacciai, blocchi di ghiaccio che fluiscono lentamente e che in condizioni climatiche diverse da quelle in cui si sono formati, fondono.
L’ESEMPIO
In realtà la scoperta dimostra che la loro conservazione può essere garantita anche a quote relativamente basse, come i 1800 metri di Casera Razzo, qualora blocchi di roccia e strati di vegetazione prendano il sopravvento. Quello che all’inizio delle ricerche era ritenuto un possibile rock glacier relitto, ovvero quello che rimaneva di un vecchio ghiacciaio, cioè soltanto detriti rocciosi, in realtà si è rivelato un vero e proprio ghiacciaio con ghiaccio conservato e protetto dai detriti che vi si sono accumulati negli anni e sui quali poi è cresciuta la vegetazione. E tutto nonostante i cambiamenti climatici in atto. Cambia così la prospettiva delle indagini che i glaciologhi di tutto il mondo stanno effettuando a livello globale: in sostanza è dimostrato che morfologie all’apparenza “spente”, inattive e ricoperte di vegetazione, in realtà nascondono grandi quantità di ghiaccio e possono quindi prestarsi come riserve idriche consistenti.
L’EQUIPE

Della squadra coordinata da Renato Colucci, del Cnr-Ismar e docente di glaciologia all’Università di Trieste, fanno parte, oltre ad Emanuele Forte, anche Carlotta Zanettini, dello stesso Dipartimento di matematica e geoscienze dell’Università di Trieste, altri colleghi dell’Università di Udine, studiosi di Insubria di Varese e ricercatori dell’Università di Aberystwyth in Galles .  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino