«Veneto Banca, erano favoriti i clienti più ricchi»

Veneto Banca. L'ex direttore generale Vincenzo Consoli in aula
TREVISO - «Credo che Consoli non abbia mai voluto far crollare Veneto Banca, l'istituto è fallito per una sostanziale incapacità di fare credito». A...

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TREVISO - «Credo che Consoli non abbia mai voluto far crollare Veneto Banca, l'istituto è fallito per una sostanziale incapacità di fare credito». A parlare in aula nel processo contro l'ex ad ed ex direttore generale di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, è stato Luca Terrinoni, ispettore di Bankitalia e consulente tecnico nominato dalla Procura di Roma e poi da quella di Treviso per redigere la relazione finale dopo le ispezioni effettuate nell'ex popolare di Montebelluna da Bankitalia, Consob e Bce. Una testimonianza, quella di Terrinoni, fortemente contestata dall'avvocato Ermenegildo Costabile, il legale di Consoli, che ne ha addirittura chiesto la ricusazione per un «manifesto conflitto di interessi». Richiesta respinta dal collegio.


IL CLIMA


Terrinoni ha affermato che in Veneto Banca c'era una «forte conflittualità interna» nel passaggio tra «la vecchia e la nuova gestione». E il clima era teso, soprattutto tra i dipendenti. «Li ho divisi in nostalgici e spaventati. I secondi hanno raccontato di aver lavorato per anni sotto una compressione psicologica che il potere ha esercitato». Già, il potere. Terrinoni ha sostenuto che c'erano «funzionari che pensavano di far bene a ostacolare la ricognizione delle ispezioni» a causa delle pressioni che dovevano subire. E il default di Veneto Banca è stato «provocato proprio da questi comportamenti». Una parte dell'esame di Terrinoni ha riguardato le azioni e la lista d'attesa per venderle. «Non veniva rispettata alcuna regola interna. La banca diceva: ti finanzio se compri azioni, ti finanzio se non le vendi o ti finanzio se le compri da un altro azionista. In questo modo possedeva se stessa». Ma secondo il ctu i vertici hanno giocato a fare i banchieri: «Il risparmiatore è sacro - ha concluso Terrinoni - le persone che volevano vendere le azioni è perché ne avevano bisogno. Invece sono i ricchi ad aver usufruito degli scavalchi nelle liste: più il cliente era piccolo più veniva trascurato. Dal punto di vista sociale è gravissimo ma non interessava, non si è fatto nulla per evitare che accadesse. Io lo chiamo dolo eventuale».

 

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Il Gazzettino