Veneto banca, super-perizia sui titoli: un team dovrà capire come veniva determinato il valore dell'istituto

Veneto banca, super-perizia sui titoli: un team dovrà capire come veniva determinato il valore dell'istituto
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TREVISO Una super consulenza sulla metodologia che ha portato alla determinazione del valore delle azioni di Veneto Banca e stima del valore reale delle stesse. Lo hanno deciso Massimo De Bortoli e Gabriella Cama, i magistrati trevigiani che si occupano delle varie inchieste sul tracollo dell'ex popolare di Montebelluna, in relazione alle indagini che riguardano le truffe che sarebbero state consumate ai danni di migliaia di clienti. Della redazione della perizia è stato incaricato un team di esperti e le conclusioni sono attese entro metà novembre. L'ipotesi di partenza è che i vertici della banca fornivano false rassicurazioni circa il valore e la solidità finanziaria dei titoli emessi, tacendo sul fatto che il valore dell'azione era ampiamente sopravvalutato almeno del 40%. 


GLI INDAGATI
Ad essere indagati in questo troncone sono l'ex amministratore delegato e direttore generale Vincenzo Consoli, considerato la mente del raggiro milionario, e altri cinque manager: Mosè Fagiani, ex condirettore generale e responsabile dell'area commerciale, Renato Merlo, ex responsabile della direzione centrale pianificazione-controllo, Stefano Bertolo, ex responsabile della direzione centrale amministrazione e dopo il 2014 dirigente preposto alla redazione dei libri contabili societari, Massimo Lembo, ex responsabile della direzione centrale compliance e Cataldo Piccarreta, l'ex direttore dell'area mercato Italia. Nelle 86 pagine dell'avviso di chiusura indagini, i pubblici ministeri descrivono come Consoli e i suoi sodali abbiano di fatto mentito ai consiglieri d'amministrazione e ai soci dell'istituto di credito. Presentavano loro pianificazioni aziendali non disciplinate da alcuna regolamentazione interna e completamente accentrate nelle strutture di vertice, assieme a dati di bilancio e previsionali non aderenti alla realtà, eccessivamente ottimistici, irragionevoli e inattendibili, costringendoli a mantenere elevato il prezzo unitario delle azioni. Il tutto dopo l'ispezione della Banca d'Italia che, il 6 novembre 2013, aveva esplicitamente evidenziato che il valore dell'azione era incoerente con la situazione finanziaria della società e con il contesto economico. 

IL BOOM

Il valore delle azioni veniva infatti determinato dall'assemblea dei soci di Veneto Banca in sede di approvazione del bilancio, su proposta del consiglio di amministrazione e sentito il parere del collegio sindacale. Così veniva stabilito annualmente anche il sovrapprezzo che doveva essere versato in aggiunta al valore nominale per ciascuna azione, determinando il valore complessivo dei titoli. Il prezzo delle azioni, fissato nel 2004 a 21,25 euro, è passato nel 2005 a 25 euro e nel 2008 a 35,5 euro. Nel giugno 2010 è arrivato a 38,25 euro; a settembre 2011 a 40,25. Nel 2013 le azioni, dopo una crescita esponenziale nel decennio precedente, raggiungono il loro apice: 40,75 euro, a fronte dei 21,25 di nove anni prima. La clientela alla quale veniva proposto l'acquisto dei titoli era però costituita, sottolineano De Bortoli e Cama, da persone non in grado, per livello di istruzione, età avanzata, tipologia di professione o altre circostanze, di valutare correttamente il rischio connesso all'investimento effettuato. Ora la perizia dovrà mettere ordine, indicando quali procedure siano state seguite per arrivare ad un prezzo finale di 40,75 euro e quale fosse in realtà il reale valore, chiamando in causa anche il lavoro dei certificatori della PricewaterhouseCoopers, che i sostituti trevigiani definiscono come carente tanto da permettere ai vertici di Veneto Banca di approfittare dell'insufficiente attività di controllo svolta.  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino