Vajont. Viaggio nelle viscere della diga che spazzò via l'intera valle Foto

Vajont. Viaggio nelle viscere della diga che spazzò via l'intera valle Foto
ERTO E CASSO . Il giro dell'acqua è un viaggio nel ventre della diga del Vajont. Nel buio dei suoi cunicoli di servizio, dove quello che rimane di un'opera maestosa...

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ERTO E CASSO . Il giro dell'acqua è un viaggio nel ventre della diga del Vajont. Nel buio dei suoi cunicoli di servizio, dove quello che rimane di un'opera maestosa dal nome indissolubilmente legato a una immane tragedia convive con la parte impiantistica costruita negli anni successivi e tuttora in esercizio. I percorsi della memoria portano sul coronamento della diga, rimasta incredibilmente intatta. Spalancano lo sguardo su quel che resta dopo la grande frana e l'onda che 56 anni fa spazzò via paesi e vite.

 

Costeggiano la fila infinita di bandierine a ricordo delle centinaia di bambini morti o mai nati. Ma quel che resta, oggi, è anche quella parte della diga, normalmente chiusa al pubblico e accessibile solamente ai tecnici, nella quale continua a funzionare quel complesso capolavoro di ingegneria idraulica concepito alla metà del secolo scorso e trasformatosi in una trappola mortale per duemila persone.
 
IL CUNICOLOCapolavoro per la sua complessità. Per i numeri che ne descrivono le dimensioni. Per il tempo record in cui fu realizzata, tre anni. Capolavoro perché, nonostante tutto, dal punto di vista strutturale la diga ha tenuto. Al tempo spiega uno dei tecnici che operano sul territorio , il problema principale di tutte le dighe erano le spalle: si pensava cioè che le dighe potessero cedere o spostarsi. In altri casi, infatti, i problemi sono sempre stati causati da un cedimento o da uno scorrimento della diga. Si è quindi lavorato molto sulle spalle, ma la geologia del tempo non aveva le informazioni che abbiamo oggi, e il fenomeno che è si è verificato qui è stato quello di uno scivolamento del corpo franoso, avvenuto con una velocità molto superiore a quella prevista. Il motivo è stato spiegato negli anni Ottanta, in seguito a un caso analogo verificatosi in Canada: c'è uno strato d'argilla con dell'acqua; la pressione e la pioggia hanno fatto sì che questo creasse una sorta di film, un fluido, quasi un vapore, sul quale si è verificato lo scivolamento che, invece che avvenire in due minuti abbondanti, è avvenuto in 20 secondi. E il cambio dell'ordine di grandezza ha cambiato tutte le proporzioni, facendo saltare il modello studiato che considerava come quota sicura i 700 metri, ossia 22 metri da quella che era la cima. Così l'acqua è passata 100-200 metri sopra il coronamento alla velocità di un centinaio di chilometri all'ora, sprigionando un'energia enorme. 
L'ACQUADove l'acqua è arrivata, è arrivata con una velocità e una pressione tale che ha investito e spazzato via tutto. Diverso l'effetto sulla centrale del Colomber, dove tutta l'energia diretta verso Longarone ha creato una depressione, un vuoto d'aria, risucchiando tutto. Quel che è accaduto è testimoniato dalle foto appese all'interno che raffigurano il prima e il dopo: la centrale non è stata invasa dall'acqua: è stata prima aspirata, dopodiché si sono rotti dei componenti. Fra le strutture accessorie, è invece stata spazzata via la cabina comandi, che si trovava nella sinistra orografica; eliminate anche le passerelle che correvano sopra gli sfioratori. Ma la diga non è oggi solamente una cattedrale della memoria. Nello schema del suo assetto attuale quel che resta degli impianti di allora come la ex centrale Colomber o l'ex scarico di alleggerimento, ma anche la pavimentazione e alcuni lampioni convive con l'impianto attualmente in funzione. E con tutto quello che della diga originaria è stato ricostruito o modificato, come il ponte tubo, situato più o meno a metà dell'altezza complessiva della diga, oltre 260 metri, spazzato via dal disastro e ricostruito un anno dopo. Oggi però è vuoto spiega uno dei tecnici , perché negli anni Ottanta si sono rilevati dei cedimenti sulle spalle sulle quali poggiava il ponte e dunque si è costruito dentro la frana un bypass che attraversa tutto il corpo frana per una cinquantina di metri. Ma il ponte tubo resta un punto d'osservazione straordinario per cogliere l'imponenza dell'opera, una diga a doppio arco che lo sguardo non riesce a catturare per intero.

LA CONTINUITÁQuello che troviamo oggi spiegano mentre viene illustrata la parte impiantistica costruita negli anni Sessanta sono delle opere importanti, utilizzate soprattutto per garantire una continuità idraulica, e una diga che resta di fatto un'opera in piedi in sicurezza e che viene gestita per le problematiche inerenti all'acqua. E un'opera importante per la memoria della tragedia. La gestione in sicurezza delle opere fa parte anche di una serie di interventi di miglioramento e di messa in sicurezza. Quello che è stato fatto negli anni Ottanta è stato spostare quello che era il ponte tubo, questo by pass che collega le due valli, all'interno del corpo della frana. Questo fa sì che sia ulteriormente in sicurezza tutto il sistema idrico che garantisce il trasporto dell'acqua da Pieve a Soverzene. È un'opera che è stata conclusa nel 1986 e che ha sicuramente migliorato gli aspetti di sicurezza e di gestione dell'acqua.
Lara Zani Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino