Un anno fa l'inferno di Vaia, parla il geofisico che aveva previsto tutto

Un anno fa l'inferno di Vaia, parla il geofisico che aveva previsto tutto
L’uomo che ha previsto l’inferno di Vaia. Foreste schiantate, strade franate, versanti sgretolati e tutta la devastazione che un anno fa ha ferito il Bellunese. Lui...

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L’uomo che ha previsto l’inferno di Vaia. Foreste schiantate, strade franate, versanti sgretolati e tutta la devastazione che un anno fa ha ferito il Bellunese. Lui aveva “visto” tutto e quando ha iniziato a dirlo a chi prende le decisioni si è sentito dire: «Ma stai scherzando?». Invece no, nessuno scherzo e nessuna esagerazione, era tutto terribilmente vero. E alla fine gli hanno creduto. Quindi se il disastro causato dalla forza della natura non si è potuto evitare, si è impedito almeno che ai danni si aggiungessero i morti.

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Thierry Robert Luciani è un geofisico previsore meteo di Arpav e del Centro valanghe di Arabba. C’era lui nell’ottobre di un anno fa a fare le previsioni del tempo alla vigilia della tempesta. «Avevo visto che stava succedendo qualcosa di molto grave, riscontravo dei valori  che non mi era mai capitato di incontrare in venticinque anni di attività», spiega il meteorologo nel primo anniversario di Vaia durante il “DataBeer 8” di Venezia, un incontro al quale hanno partecipato anche Francesca Larosa e Lorenza Campagnolo del Centro cambiamenti climatici del Mediterraneo dell’Università di Venezia.
«I modelli vedevano benissimo la situazione anomala - spiega Luciani - io non avevo mai incontrato delle velocità verticali di questo tipo, rilevavo valori di 580 pascal al secondo, questa è l’unità di misura usata, in passato avevo al massimo incontrato valori inferiori di 150 pascal». La tempesta inizia quindi a prendere forma quarantotto ore prima che inizi a scatenarsi. «Era il giovedì e la fase cruciale era prevista tra sabato e lunedì - prosegue il meteorologo - venerdì i dati confermavano tutto ed ho avvisato la Direzione regionale della sicurezza del territorio». Sabato la riunione a Marghera con prefetti, assessore alla protezione civile e responsabili di Arpav.
LE CHIUSURE
«Il mio problema era far passare le informazioni, convincere chi prende le decisioni - prosegue - ho creato un modellino di quattro minuti con le foreste schiantate e l’ho fatto vedere al prefetto di Belluno. Lui mi disse: “Ma stai scherzando?”. E io ho risposto che avremmo visto i fuochi pirotecnici, che ci sarebbero stati smottamenti, danni gravissimi e il territorio sarebbe collassato». Si decide così di chiudere le scuole di Belluno, Treviso e poi anche Vicenza. Ma vengono interdette anche le strade, le fabbriche e si decide di mandare a casa i dipendenti pubblici alle 13. Poi per Vaia inizia la seconda fase. «Domenica - continua Thierry Robert Luciani - ho visto che l’apice della fenomenologia sarebbe stato il passaggio di due fronti che si sarebbe sprigionato lunedì 29 ottobre dalle 12 alla mezzanotte: si stavano verificando tanti fenomeni tutti assieme. Piogge intense, scirocco a 150 chilometri, forti correnti discendenti che hanno alimentato micro-tempeste a livello locale. Ero ancora nella fase delle previsioni».
Sono seguite riunioni concitate, la macchina della sicurezza si è messa in movimento senza sottovalutare nulla. «Se non si fosse fatto così avremmo contato i morti», è convinto l’esperto. Perché c’erano tanti fenomeni tutti assieme: se si fossero presentati separatamente non si sarebbe scatenato quell’inferno.
TRAGEDIA ANNUNCIATA

«Ma se è successo una volta può riaccadere - dice il geofisico - perché il clima sta cambiando e noi non facciamo niente. C’è degrado a livello di biosfera, la qualità dell’aria è sempre peggiore e noi continuiamo a inquinare. Dove andremo non lo so». Perché tutto questo era già previsto cinquant’anni fa, ma sembrava lontano. «Ora siamo nell’urgenza, tra qualche anno rischiamo di vivere una tragedia, una tragedia annunciata. Quindi se mi si chiede se tutto questo può ripresentarsi: io dico di sì». E fa gli esempi che si stanno scatenando in tutto mondo: gli ultimi in ordine di tempo sono i venti a duecento chilometri all’ora a Tokyo e i due uragani nell’oceano Atlantico di questa estate. «La natura ci sta mandando dei messaggi, bisognerebbe ascoltarli - conclude il meteorologo di Arpav - noi siamo tutti un po’ responsabili, perché la politica non fa niente se la base non fa richieste forti. La gente è disinformata, nel Nord Europa sono un po’ più consapevoli: rischiamo il collasso e bisogna cambiare. La nostra società ci ha portato in vetta e nessuno vuole rinunciare a qualcosa, ma in realtà questa vetta è un pozzo da cui dobbiamo risalire. Per farlo bisogna fare una grande rivoluzione».
Raffaella Ianuale
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Il Gazzettino