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PORDENONE - «Non posso che accogliere con favore questo provvedimento, anche se non è partito da noi. Per quanto abbiamo potuto verificare all'inizio delle indagini, che poi abbiamo passato a Treviso, è giusto che i promotori di questo "schema Ponzi" paghino: sono state truffate migliaia di persone». A parlare è il procuratore di Pordenone, Raffaele Tito, il primo assieme al sostituto Monica Carraturo a dare avvio a una serie di perquisizioni in merito al caso New Financial Technology e a iscrivere nel registro degli indagati sei persone, tra cui l'avvocato romano Emanuele Giullini e l'ex amministratore della società di Silea Christian Visentin, i due arrestati a Dubai dall'autorità giudiziaria degli Emirati Arabi. «Al tempo, prima di inviare il fascicolo a Treviso per competenza territoriale, avevamo cercato in tutti i modi di rintracciare Giullini - continua il procuratore Tito - Abbiamo effettuato diverse perquisizioni ma lui non siamo riusciti a rintracciarlo da nessuna parte». In pratica un fantasma, ma l'unico che dopo lo scoppio dell'inchiesta ha continuato a parlare, via mail, con gli investitori promettendo il rientro dei capitali investiti, o almeno una parte. Circostanza che non si è mai verificata e che per i truffati si trattava soltanto di un modo per guadagnare tempo ed evitare che le querele si moltiplicassero. E anche questa circostanza non si è verificata, visto che le denunce continuano a piovere con vittime sparse in tutta Italia e pure all'estero.
I PATRIMONI
I patrimoni degli indagati sono già stati aggrediti.
I COMMENTI
La notizia dell'arresto di Emanuele Giullini e di Christian Visentin ha fatto subito il giro del web. E i canali Telegram in cui si sono riuniti gli investitori della Nft si sono riempiti di commenti. C'è chi esulta affermando: «Magari marcissero dietro le sbarre a Dubai anziché starsene con le chiappe al sole a fare la bella vita. Perso per perso il denaro, almeno che da qualche parte nel mondo paghino». E ancora: «Magari ci finissero anche gli agenti dietro le sbarre». C'è chi, preoccupato, teme che l'arresto a Dubai possa invece cancellare la possibilità di riavere indietro i soldi investiti: «Se ora hanno un processo negli Emirati non li consegneranno più all'Italia». Risposta: «Questo non bloccherà sequestri, confische e processi agli agenti in Italia». Timori legittimi: gli Emirati Arabi con l'Italia hanno un rapporto di collaborazione a livello giuridico ma non un accordo per l'estradizione. Quindi anche se fosse spiccato un mandato d'arresto non sarebbe possibile trasferire i detenuti nel nostro Paese. Ciò, però, non comporta una preclusione ad avviare azioni legali a Dubai, con la possibilità per gli investitori di riappropriarsi di quanto è stato loro tolto. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino