Incidente sulla Triestina. «Li abbiamo soccorsi, il bimbo era a terra e respirava ancora»

MESTRE - Irreale. Il silenzio negli attimi dopo l'incidente della Triestina, all'altezza del Montiron, è la prima cosa a colpire chi ieri arrivava sul posto. Lo...

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MESTRE - Irreale. Il silenzio negli attimi dopo l'incidente della Triestina, all'altezza del Montiron, è la prima cosa a colpire chi ieri arrivava sul posto. Lo sguardo fisso all'ammasso di lamiere in cui era ridotto il Volkswagen Touran e non molto distante due donne: mamma e figlia.  Addosso le infradito e una camicia da mare. La testa sempre incollata al telefono per dire a casa che stavano bene, che non era successo nulla. A loro.


Tessera. Schianto micidiale tra bus e auto. Morti papà e figlia 13enne. Grave bimbo di 6 anni /Foto /Video

Che erano le prime a seguire la macchina della morte sulla strada di ritorno dal mare.  E che pochi minuti dopo l'incidente hanno potuto raccontare «ringraziando Dio». Barbara ha 48 anni, è di Mestre, e con la figlia Aurora stavano anche loro tornando dal mare, da Jesolo. Come Andrei Boaghe e la sua famiglia. «Stavo guidano io, li stavamo seguendo, si andava a velocità normale, la strada era libera - racconta Barbara - A un certo punto ho visto la macchina davanti a me sbandare verso sinistra, non una frenata, niente. Dall'altra parte ho visto il pullman arrivare e non c'è stato nulla da  fare. Noi siamo passati ma la nostra macchina è stata investita dalla pioggia di schegge del Touran, distrutto e appallottolato dallo scontro con il bus di linea. Non sapevo cosa fare, faccio fatica a parlare ancora adesso, ho la bocca e la gola secca. Siamo state miracolate».
IL SOCCORSOAurora invece stava dormendo di ritorno dal mare. 
«Mi sono svegliata perché ho sentito mia madre urlare. Non appena ho aperto gli occhi ho visto il botto: un rumore fortissimo. Quando ci siamo fermati sono uscita dalla macchina e mi sono diretta verso il luogo dello scontro. Ho visto una donna dal lato del passeggero, sembrava morta (era la mamma, poi ricoverata e fuori pericolo di vita, ndr). Poi ho girato lo sguardo e ho visto a terra un bambino in una pozza di sangue. 
Ho sentito il battito e, assieme ad un altro soccorritore (un vigile del fuoco fuori servizio, che ha dato l'allarme per primo, ndr) mi sono assicurata che respirasse ancora.
Quando ho avuto la certezza che fosse vivo sono tornata in macchina e ho preso uno dei teli da mare, gliel'ho portato e l'ho avvolto, tentando di proteggerlo dalle ferite».
Il ragazzino soccorso da Aurora è il bambino di sei anni ora intubato e in pericolo di vita all'ospedale di Padova.
Le parole di Barbara e Aurora sono state messe nero su bianco dagli agenti della polizia Locale di Venezia, che assieme ai vigili del fuoco, hanno lottato fino a notte tarda per estrarre i cadaveri dalla macchina ridotta in cumulo di lamiere.
La loro testimonianza, di madre e figlia, sarà però fondamentale per capire la dinamica di quanto successo.
Con la certezza di aver scampato un pericolo.

«Sì, sì, papi, stai tranquillo, stiamo bene. Siamo ancora qui ma stiamo bene». Ripeteva Aurora al telefono. A due passi dall'inferno.
N. Mun.
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Il Gazzettino