Mancano tecnici, in 300 dal Sud: ingegneri e periti informatici

Mancano tecnici, in 300 dal Sud: ingegneri e periti informatici
PORDENONE - Non è Torino, non sono gli anni 60, non è la Fiat che inaugurava il boom con la 500 al cui assemblaggio lavoravano calabresi, siciliani, pugliesi,...

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PORDENONE - Non è Torino, non sono gli anni 60, non è la Fiat che inaugurava il boom con la 500 al cui assemblaggio lavoravano calabresi, siciliani, pugliesi, napoletani. È un'altra epoca, ma il paragone non è una bestemmia. Anche oggi, seppur con mezzi, tempi e modi diversi, c'è una mini-ondata di migranti interni, che nulla hanno a che fare con le rotte dei disperati: viaggiano infatti con un titolo di studio in mano, una valigia piena di voglia di lavorare e una meta: Pordenone. Sono trecento in due anni: campani, baresi, foggiani, tanti sardi. Sono laureati in ingegneria o periti elettronici e informatici. E le aziende li cercano come l'oro nel vecchio West. Il problema qual è? Che di pordenonesi in grado di coprire i posti messi a disposizione delle aziende non ce ne sono abbastanza. 

 
DISCREPANZA«Se il fabbisogno è cento - spiega semplificando l'argomento il direttore di Unindustria, Paolo Candotti - la quantità che offre il sistema scolastico locale è trenta». Tradotto, significa che gli istituti del Pordenonese riescono a formare solo il 30 per cento della forza lavoro qualificata attualmente richiesta dalle imprese del territorio. Sono numeri che non prendono prigionieri. E la penuria di personale qualificato investe tutte le fasce del mondo del lavoro, dal livello più basso a quello più specializzato. La manifattura cerca periti meccanici, elettronici e informatici. Gente che magari non saprà a memoria Leopardi ma che sa perfettamente cosa sia una scheda madre di un tablet. Gli istituti professionali invece dovrebbero far diplomare vagonate di operai da laboratorio o da officina. In cima alla piramide ci sono gli ingegneri, siano essi meccanici o elettronici. Invece si continua a produrre liceali che hanno bisogno di un altro lungo ciclo di studi prima di affrontare il mondo del lavoro. 
I FLUSSINegli anni 60 i giovani del Meridione prendevano il treno notte per cercare un lavoro. Ora sono le aziende che pagano loro il biglietto in business del Frecciarossa. «Negli ultimi due anni - spiega sempre Candotti - le fabbriche del Pordenonese hanno importato circa 300 professionalità provenienti dall'Italia che inizia da Napoli». Sono pugliesi, calabresi, campani. Alla Friulintagli sono stati assunti molti sardi. Si tratta di territori che nel tempo hanno prodotto un'offerta di forza lavoro nettamente superiore alla domanda. Tradotto, i giovani under 30 che risalgono lo Stivale sono qui per fare i lavori che i ragazzi di Pordenone considerano forse fuori moda, poco chic. C'è una grave discrepanza tra la scuola e il mondo del lavoro, e ripeterlo non significa scoprire l'acqua calda. Il problema di stretta attualità è che ora l'industria sta cambiando più velocemente di prima. Si parla di fabbriche 4.0 che si possono governare da remoto, con un'applicazione e un telefonino di ultima generazione. Si è entrati nell'epoca della robotica, della domotica, del trionfo dell'elettronica sulla manualità. Il fattore dominante è il digitale, che ha soppiantato, confinandolo dietro a una teca in un museo, il vecchio analogico. Ecco allora che l'industria, ghepardo in corsa, chiede risorse che il territorio non è in grado di fornire. 

I SETTORIIl legno-arredo, concentrato nel distretto tra Pasiano, Prata e Brugnera, come sempre fa scuola: le aziende cercano il personale altrove, spesso nelle regioni del sud. Si prosciugano altri bacini, mentre Pordenone dorme. Sullo sfondo c'è un altro fenomeno migratorio: i saldatori e i carpentieri, infatti, sono in gran parte provenienti dall'Europa dell'est e dai Balcani. Coprono altri posti che i pordenonesi hanno iniziato da tempo a disprezzare. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino