Torna in carcere per lo spaccio di droga di 5 anni fa e si uccide. Aperta un'inchiesta

Bessem Degachi si è tolto la vita a Santa Maria Maggiore: era coinvolto nell'inchiesta di via Piave

Torna in carcere per lo spaccio di droga di 5 anni fa e si uccide. Aperta un'inchiesta
VENEZIA - Un suicidio in carcere su cui si dovrà fare chiarezza. La Procura ha aperto un'inchiesta sulla morte di Bessem Degachi, detenuto già in...

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VENEZIA - Un suicidio in carcere su cui si dovrà fare chiarezza. La Procura ha aperto un'inchiesta sulla morte di Bessem Degachi, detenuto già in semilibertà, che si è tolto la vita martedì, nella sua cella di Santa Maria Maggiore, dopo aver ricevuto la notifica di un'ordinanza di custodia cautelare per fatti di droga vecchi ormai di cinque anni. A rendere la vicenda ancor più drammatica la denuncia dei familiari di Degachi che più volte, in quelle ore terribili, avevano telefonato in carcere per riferire della disperazione in cui era caduto il loro caro, dopo la notifica, e dei suoi propositi di farla finita. Tutto inutile. E sul caso si è mosso anche il garante per i detenuti di Venezia, l'avvocato Marco Foffano, che con Bassem aveva un rapporto particolare. «Il caso volle che sette mesi fa fossi io ad accompagnarlo dal carcere al lavoro della semilibertà - racconta - l'avevo incontrato dieci giorni fa: era sorridente, contento. Un animo sereno, sollevato, proiettato a una nuova vita. Quella notifica per lui ha avuto l'effetto di una bomba».


I DUBBI DA CHIARIRE
Ma in un caso come il suo c'erano veramente le esigenze cautelari? E quel suo percorso di redenzione non poteva essere un fattore? «Purtroppo la domanda sembra retorica: a mio avviso doveva esserlo di certo. Ma gli organi della magistratura si parlano? Temo di no, agiscono seguendo solo il proprio canale. Evidentemente chi ha scritto l'ordinanza non sapeva della condizione di Bassem». La legge, però, non ammette ignoranza. «Il giorno stesso il magistrato di Sorveglianza è andato in carcere per portare un mazzo di fiori. Per me un gesto che dice tutto, parla da uomo alla famiglia, da magistrato alla magistratura, da cittadino alla società. Sembra dire: "Cosa abbiamo fatto". Parliamo dei tempi? Incredibile che dopo 5 anni si sia ancora in fase istruttoria, assurdo notificare oggi delle ordinanze per fatti avvenuti nel 2018». Anche il carcere dovrà prendersi le sue responsabilità: se confermata la versione della famiglia, Bassem si sarebbe tolto la vita poco dopo la segnalazione della moglie all'istituto. «Sicuramente qualcosa non ha funzionato e dovranno essere fatti degli accertamenti».


LUNEDÌ L'AUTOPSIA
Materiale per la Procura, che si sta già muovendo. Sul caso indagherà il pubblico ministero Lucia D'Alessandro, che già martedì si era recata in carcere per raccogliere i primi elementi utili. Ieri ha disposto l'autopsia sul corpo dell'uomo che si terrà lunedì. Esame importante per stabilire l'ora della morte. Elemento su cui insistono i familiari, convinti che il loro caro potesse essere salvato. Ma sono tanti gli interrogativi che pone questa vicenda. A cominciare appunto dai tempi di un'ordinanza arrivata a tanti anni di distanza dai fatti contestati. Misura richiesta dalla Procura nel 2020, dopo un'indagine dei carabinieri su episodi di spaccio del 2018. Lo scenario è quello di via Piave, tutt'ora piazza incontrastata del mercato di droga non solo locale. Insomma un fronte caldissimo, ormai da anni. Ma l'ufficio gip di Venezia, che deve esaminare la richiesta e disporre le eventuali misuri, è in drammatica carenza di organico. Allora, come oggi. E così, per ben due anni, la richiesta resta in congelatore. É il primo passaggio che dovrà essere chiarito.
Ma ancora più delicato è quello successivo, quando nell'autunno scorso la richiesta viene finalmente presa in mano da un gip che, per prima cosa, chiede se è ancora di attualità. La Procura, sentiti i carabinieri, conferma l'attualità del pericolo, con una nota datata 18 ottobre 2023. Per una tragica coincidenza, lo stesso giorno in cui altri magistrati, quelli di sorveglianza, confermano a Degachi, stabilmente in carcere dal 2020, la semilibertà, a riprova del suo percorso di recupero. Quasi due percorsi paralleli, tra organi diversi della magistratura, che evidentemente non si sono parlati. Anche di questo si riparlerà.


LE TELEFONATE


Così si arriva all'ordinanza eseguita martedì, con le 27 misure cautelari, di cui 11 in carcere. Tra gli 11, c'è anche Bessem Degachi. Un colpo insopportabile per questo 38enne di origini tunisine, da anni residente a Mestre, che credeva di aver lasciato alle spalle il passato da spacciatore: dall'anno scorso lavorava in un cantiere veneziano gestito da una cooperativa, dove era molto apprezzato, aveva in prospettiva un permesso premio per il compleanno della moglie e a settembre un'altra udienza davanti alla sorveglianza per l'affidamento in prova, di fatto la possibilità di lasciare Santa Maria Maggiore. Invece, quell'ordinanza, lo fa crollare. Telefona alla moglie per dirle che «tutto è finito», che ha già «preparato la corda». Arriviamo così alle ore concitate di martedì, su cui soprattutto dovrà far luce l'inchiesta. La moglie chiama il carcere e per tre volte la tranquillizzano. L'ultima telefonata è delle 14.41. Il certificato di morte di Bessem Degachi è delle 14.42.


 

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Il Gazzettino