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PORDENONE - A Casarsa, non certo lo snodo più importante della regione, c’è praticamente tutto: il viaggiatore che arriva, per andare verso Udine, Venezia o Portogruaro, trova l’edicola, la biglietteria, un bar-tabaccheria. Si può anche mangiare qualcosa al volo. Anche Sacile dice la sua, per non parlare degli scali di Udine, Gorizia e Trieste. Lontani anni luce quanto a servizi. A Pordenone, invece, sono rimaste le briciole. Una stazione ferroviaria che se non fosse per i treni in arrivo e partenza, sarebbe corretto definire come fantasma. Certamente non si sbaglia se si usa invece il termine “abbandonata”. Da mesi, infatti, le attività commerciali sono ridotte a un rumoroso zero. E altri problemi, come il buio e un ascensore che passa più giorni fermo che altro, completano un quadro sconcertante.
IL VIAGGIO
Prima di pensare alle “colpe” e alle responsabilità (si vedrà in capo a chi stanno, in questo caso), ecco la fotografia della situazione. La stazione Pordenone oggi è solo uno scalo.
SOLUZIONI
Chi dovrebbe prendere in mano la situazione? C’è una società, che si chiama Rfi, che gestisce la parte infrastrutturale del comparto ferroviario italiano. Ma al momento da Roma non filtrano novità sul futuro a breve-medio termine dello scalo pordenonese. «Non abbiamo idea di quando potranno eventualmente riaprire l’edicola e il bar della stazione - spiega ad esempio il vicesindaco cittadino Emanuele Loperfido, che è anche assessore al Commercio -. Per quanto riguarda il bar, ci è solo stato detto che la chiusura è stata dettata dalla necessità di effettuare dei lavori». Sempre a Rfi, poi, compete l’eventuale vendita al Comune del rudere che un tempo ospitava il fabbricato viaggiatori. È tutto fermo, perché la società non ha più inviato all’amministrazione comunale il prezzo finale dell’operazione. Il Comune è ancora intenzionato a trasformare il rudere nell’hub per il trasporto lento, quindi quello legato alle due ruote. Ma senza un’offerta formale da parte di Rfi anche quell’area della stazione di Pordenone rimarrà nell’oblio.
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Il Gazzettino