Oltre quota ottomila metri, per venti lunghe ore, per di più rimanendo senza ossigeno. L'alpinista padovano Nicola Bonaiti racconta la sua avventura estrema che...
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Nicola non risponde d'istinto alle domande. Pensa. Pensa, adesso che il Lhotse è fatto e tante fatiche e preoccupazioni sono alle spalle, adesso che è al suo vero campo base, forse per la prima volta pensa veramente a ciò che ha vissuto in quei giorni, prima di felicità con la sua famiglia in trekking insieme a loro nella lunga risalita della grande vallata himalaiana, poi di ansia per l'impresa da compiere, infine di muta forza d'animo e di grande resistenza fisica. Nei giorni della spedizione in Nepal, con Mario Vielmo e Sebastiano Valentini, in fondo Nicola Bonaiti non ha avuto modo di pensare realmente a tante cose. Le sensazioni allora erano preponderanti, fossero di gioia o di sofferenza (e non ne sono mancate, su una montagna che sa gelidamente farsi sarcofago inamovibile per alcuni di coloro che non ce la fanno a salirla e soprattutto a scenderla). O quelle di incertezza e di attese che potevano sembrare infinite.
IL CAMPO BASE
Se il campo base della quarta vetta per altezza della Terra è alla notevole altitudine di 5.300 metri, il vero campo base di Nicola Bonaiti è alla modesta quota di un centinaio di metri, nel verde dei Colli Euganei, in vista delle pareti ardite ma ben più familiari di Rocca Pendice, presidiato da due cani grandi quasi come yak, Neve e Nanuk. A casa Bonaiti si mangia in modo semplice e naturale, niente carne, tanto per cominciare. Ma a restituire le energie e i chili di massa muscolare persi con la innaturale permanenza alle alte quote, ci sono tante altre cose, alternative e nutrienti...
Il Gazzettino