Willi morì di meningite sotto la naja: a Rovigo il processo riapre dopo 27 anni

Willi Eros Foresti morì a soli 21 anni
ROVIGO -  Eros Willi Foresti non sarebbe nemmeno dovuto partire da Rovigo per la leva: con due fratelli che avevano già prestato il servizio militare, il ragazzo...

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ROVIGO -  Eros Willi Foresti non sarebbe nemmeno dovuto partire da Rovigo per la leva: con due fratelli che avevano già prestato il servizio militare, il ragazzo avrebbe avuto diritto alla dispensa. Ma la domanda venne presentata in ritardo e il distretto di Padova la rigettò. Così il giovane fece la naja, ma a pochi giorni dal congedo, alla caserma Pierobon si ammalò di una letale meningite che i medici avevano scambiato per banale influenza. Il caso riscosse un clamore nazionale. Quando morì, il soldato aveva appena 21 anni: da allora ne sono passati altri 27 e la sua famiglia aspetta ancora giustizia, anche se con una sentenza depositata mercoledì, ora la Cassazione ha disposto un nuovo processo davanti alla Corte d’Appello di Venezia.

LE INTERROGAZIONI
Ad agire in giudizio sono stati la mamma Angela Ghiotto (che nel frattempo è mancata, ma fino all’ultimo si è battuta in memoria del suo ultimogenito) e i fratelli Tiziano, Alfredo e Diego Foresti. Quest’ultimo è l’attuale segretario polesano di Rifondazione Comunista. Dopo il decesso di Eros Willi, avvenuto l’11 marzo 1993, il suo collega di partito Giovanni Russo Spena presentò diverse interrogazioni sia a Montecitorio che a Palazzo Madama. Ad esempio il 14 luglio 1993 il deputato chiese se fosse «accettabile per dei medici sbagliare in maniera così grossolana la diagnosi apparendo anche ad un profano la differenza tra un generico stato influenzale e quello ben più grave di una meningite batterica». E il 21 giugno 2000 il senatore domandò di conoscere i motivi che impedivano «il riconoscimento delle istanze presentate» per ottenere i benefìci previsti alle vittime del dovere, cioè l’equo indennizzo e la pensione privilegiata. Quel giorno Sergio Mattarella, all’epoca ministro della Difesa, spiegò: «Ancorché venga fatto ogni possibile sforzo, la tempistica risente di tali meccanismi resi obbligatori dalle norme e dalle procedure che regolano gli istituti e non dalla discrezionalità dell’amministrazione militare». Il futuro capo dello Stato sperò in un’accelerazione burocratica: «I provvedimenti economici conseguenti verranno adottati, con sollecitudine, non appena saranno acquisiti i necessari pareri».
LA CAUSA
Invece gli anni passarono invano e fu necessario fare causa. Inizialmente a Rovigo il giudice del lavoro accolse la richiesta dei parenti. Ma nel 2017 il verdetto venne ribaltato in secondo grado. Il collegio ritenne che, quale militare di leva con mansioni di «addetto alla lavastoviglie della cucina di truppa», Foresti non avesse operato «in particolari condizioni ambientali od operative» tali da giustificare l’applicazione della legge. I familiari decisero di portare in Cassazione i ministeri della Difesa e dell’Interno, contestando la tesi secondo cui «la meningite è una patologia tipica delle caserme e si previene soltanto tramite le vaccinazioni e la limitazione del sovraffollamento».
LE MOTIVAZIONI

Le loro ragioni sono state infine condivise dalla Suprema Corte. Nelle motivazioni viene precisato che «il giudice del merito deve identificare caso per caso le circostanze concrete alla base di quanto accaduto all’invalido per servizio che richieda il riconoscimento dei benefici previsti in favore delle vittime del dovere». Invece qui «non appare effettuato l’accertamento relativo alle condizioni in cui si era svolta la funzione che aveva causato la morte del Foresti». Per questo dovrà essere ricelebrato l’Appello. In attesa della nuova sentenza, un dato è certo: la vita dello sfortunato soldato rodigino è durata meno della battaglia combattuta, e non ancora finita, per dargli giustizia. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino