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Undici giorni di pioggia, di cui sei di pioggia lieve. Quindi solamente cinque effettivi, cioè in grado di determinare qualcosa sia a livello idrometriche che dal punto di vista delle attività agricole e produttive. I primi due mesi dell’anno - il secondo non è concluso, ma le previsioni non sono buone - hanno “regalato” al Friuli Venezia Giulia uno scenario preoccupante: è tornato l’incubo della siccità, con effetti negativi sia sul livello delle falde (sempre più simile a quelli fatti registrare in estate) che su quello dei bacini montani. Il vero allarme rosso, però, scatterà a primavera: se non avremo una stagione di mezzo “vera”, allora saranno dolori.
IL QUADRO
Il Friuli Venezia Giulia in questi giorni sembra aver già abbandonato l’inverno metereologico. Ci sono solo le nebbie e le temperature serali un po’ più rigide, a ricordare la stagione ancora presente.
PREOCCUPAZIONE
Rimanendo in provincia di Pordenone, si devono tenere in considerazione le aste del Meduna e del Cellina. Sono i due grandi serbatoi d’acqua del territorio. La prima al momento può garantire 10 milioni e mezzo di metri cubi d’acqua; la seconda, invece, si ferma a sette milioni e mezzo di metri cubi. In questo caso, però, è necessaria una precisazione importante. L’asta del Cellina è condizionata dal ruolo che ha la diga di Ravedis. Il suo bacino, infatti, è deputato alla laminazione delle piene montane, quindi al “salvataggio” della pianura in caso di eventi estremi. Fino al 14 aprile Ravedis è un bacino che deve rimanere vuoto, per accogliere eventualmente l’impeto del Cellina in piena e riversarlo solamente a “pezzi” verso la pianura.
«I nostri occhi - spiega Massimiliano Zanet del Consorzio Cellina-Meduna - sono rivolti alla primavera: solamente una stagione “normale”, cioè mediamente piovosa, potrà metterci in salvo. Se dovessimo avere una primavera come quella dell’anno scorso, allora saremmo nei guai». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino