Mose, un pm: «Contro la corruzione non serve aumentare le pene»

I pm Paola Tonini e Stefano Ancilotto
VENEZIA - «Per la lotta alla corruzione non serve aumentare le pene ma piuttosto aiutare chi va in procura. Come contro la mafia si è usato il collaboratore di giustizia che...

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VENEZIA - «Per la lotta alla corruzione non serve aumentare le pene ma piuttosto aiutare chi va in procura. Come contro la mafia si è usato il collaboratore di giustizia che rompe il patto criminale, se la corruzione è diffusa come una metastasi servirebbero nuovi strumenti processuali». A dirlo il pm veneziano Stefano Ancilotto, che assieme ai colleghi Paola Tonini e Stefano Buccini, fa parte del pool di magistrati che ha condotto l'inchiesta Mose.








L'occasione è stata offerta dalla presentazione del libro "Mose. La retata storica", scritto dai giornalisti Gianluca Amadori, Monica Andolfatto, Maurizio Dianese, con la prefazione del direttore de "Il Gazzettino" Roberto Papetti e una conversazione con Carlo Nordio, procuratore aggiunto che ha coordinato il lavoro del pool.



Ancilotto ha evidenziato che è più difficile indagare sulla pubblica amministrazione, «perché il livello di corruzione riguarda persone che ti stanno vicino», ma ha ricordato che nell'inchiesta «sono state arrestate persone
«che dovrebbero collaborare con te. Dobbiamo ricordare che nella corruzione la parte lesa è lo Stato, e non un privato che può denunciare. Tra corrotto e corruttore c'è un patto di ferro. Finché qualcuno non viene scoperto nessuno ha interesse ad autodenunciarsi. Quando sono coinvolte persone di un certo calibro si adottano cautele, una doverosa prudenza, ma è essenziale la perseveranza».



Paola Tonini ha ricordato che il vero nemico di inchieste come questa è la prescrizione, perché la corruzione è punita con pene che la fanno scattare presto. Per questo, a volte, è stato necessario concedere agli indagati di patteggiare la pena: arrivare fino al processo avrebbe comportato il rischio di veder vanificato tutto il lavoro.



Riguardo al libro, i due pubblici ministeri hanno rilevato che ha un'importanza «dal punto di vista storico, perché c'è il rischio che tutto passi in secondo piano. Serve a ricordare quello che è stato. Merito dell'indagine va alla Gdf, che attraverso verifiche puntuali ha scoperto un sistema di fondi neri che hanno alimentato una corruzione sistemica con il passare degli anni».
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Il Gazzettino