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BELLUNO - Le previsioni della vigilia, di centomila persone sui passi delle Dolomiti per veder passare il Giro d’Italia, sono state rispettate, a dispetto del tempo, che minacciava temporali ma poi ha graziato corridori e spettatori. Di certo di gente ce n’era davvero tanta, su ogni rampa, ogni salita, breve o lunga, dalla partenza di Belluno fino al traguardo, in cima alle terribili erte del Fedaia. Il fascino della fatica, della sofferenza di spingere sui pedali, nell’ultima tappa di montagna di questa edizione tremenda del Giro, ha coinvolto tifosi e appassionati. Il passo San Pellegrino all’inizio ha già visto una buona presenza di bandiere e striscioni. Il Pordoi iconico, una delle immagini storiche del Giro, quest’anno Cima Coppi, ha richiamato una bella folla. È stato però soprattutto il Fedaia, il valico della Marmolada, con le sue pendenze micidiali, a richiamare i cultori del ciclismo eroico. La coda di persone in attesa delle navette si è allungata sin dal mattino, nella piana fra il lago di Alleghe e Caprile, il paesino sul Cordevole da dove partono le strade per i passi Giau, Falzarego, Campolongo, Pordoi e Fedaia, crocevia di passioni. «È proprio la passione che mi ha fatto partire da Cortina in bici, per arrivare sino qui, superati due passi», racconta Gianni, insegnante d’arte nelle scuole di queste vallate, che ha pedalato per ore, per arrivare in tempo. C’è chi è salito da Longarone: «L’anno prossimo aspetterò il Giro a casa: nel 2023 ci sarà quasi sicuramente una tappa da noi, nel sessantesimo del disastro del Vajont». Tifosi sono saliti da tutto il Veneto, terra di ciclismo: «Prendi questo, è sangue di Piave, ti aiuta nella salita», grida un appassionato di Conegliano a tutte le persone che passano in bicicletta, dirette al valico, prima della gara.
DALL’ABRUZZO
E allunga a tutti un bicchiere di buon rosso, dolce e leggero.
Il Gazzettino