"Nascondono" la seconda casa per evadere le tasse: 5 ristoratori indagati

centro di Cortina foto di repertorio
CORTINA -  Si sarebbero spogliati di tutti i beni, a cominciare da una quota di proprietà a Cortina, per non pagare le tasse. Si va verso il processo, a Belluno, per i...

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CORTINA -  Si sarebbero spogliati di tutti i beni, a cominciare da una quota di proprietà a Cortina, per non pagare le tasse. Si va verso il processo, a Belluno, per i ristoratori dello storico locale “Al Cason”, di Mestre, che avrebbero violato la legge sui reati Tributari. Il ristorante di pesce, fondato nel 1967, che ha fatto la storia, è attualmente in liquidazione. Gli ex titolari Simone e Riccardo Foltran (i due figli del fondatore scomparso qualche anno fa), e Lucia Maguolo (la moglie) sono finiti nell’inchiesta aperta dalla Procura di Belluno per la presunta violazione del decreto legislativo 74 del 2000, «relativamente agli atti giuridici di dissimulazione patrimoniale per un ammontare complessivo di 23mila 500 euro». Il procuratore di Belluno, Paolo Luca, ha chiuso le indagini e ha chiesto il rinvio a giudizio per gli indagati. Oltre alla famiglia Foltran, sono finiti nel ciclone anche i due prestanome, due romani, un 80enne senza fissa dimora e un altra persona amministratore di decine di società.


I ristoratori avevano concluso un accordo con l’agenzia dell’entrate. È del 24 febbraio 2017 un atto di accertamento con adesione con l’Agenzia delle Entrate, relativa alla società Al Cason, per l’importo totale di 71mila euro circa (di 48.854,06 euro per Ires e 15.654,37 euro per IVA ed 6.799,00 per Irap). Poi però, secondo la ricostruzione degli inquirenti, non avrebbero mai versato quanto dovuto e nel frattempo si sarebbero anche liberati di tutti i beni che avevano, per evadere il fisco. Avevano una quota di appartamento a Cortina e la prima vendita è stata quella, per questo l’inchiesta si è incardinata nel Bellunese. Poi, sempre secondo gli inquirenti, i ristoratori veneziani avrebbero, tramite un prestanome, costituito altre due società e formalmente il ristorante sarebbe passato di gestione ai due romani, per poi finire in liquidazione. Non è stato facile bloccare il meccanismo che si era instaurato con le presunte società di prestanome per la Procura di Belluno. Il procuratore Paolo Luca aveva fin da subito chiesto il sequestro preventivo dei beni dei ristoratori (somme di denaro eventualmente contenute nei conti correnti), ma il gip del Tribunale di Belluno disse no e con una lunga ordinanza dichiarò l’incompetenza territoriale. Il procuratore fece ricorso al Riesame, che gli diede ragione così come la Cassazione.
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Il Gazzettino