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BELLUNO - Non sarà proprio una ripartenza. La metà dei ristoratori, nel Bellunese, terrà le serrande abbassate. Al meteo, d’altra parte, non si comanda. Davanti alle temperature ancora rigide e tutt’altro che primaverili di questi giorni non c’è bisogno economico né desiderio di tornare al lavoro che tenga: pranzare all’aperto a fine aprile nel Bellunese è da temerari e i ristoratori no, non se la sentono di tentare. Basta alzare lo sguardo e guardare le vette imbiancate di recente per capire perché. Aprire significa rimettere in moto il personale, gli ordini e la linea in cucina, ma farlo in una situazione tutt’altro che stabile sarebbe, secondo molti, un passo troppo azzardato.
Secondo le indiscrezioni in circolazione negli ultimi giorni, infatti, la ripartenza dal 26 aprile potrebbe essere limitata alle sole terrazze esterne e questo, ora, viene visto come una presa in giro. Dunque grazie per la proposta, ma arrivederci al prossimo Dpcm. Suona pressapoco così l’atteggiamento dei ristoratori bellunesi alle disposizioni che potrebbero arrivare venerdì dal Governo. Certo, non ci sono ancora certezze sul contenuto del nuovo documento, ma da quanto emerge dalle indiscrezioni di questi giorni sembra che sarà tutt’altro che a favore del Nord dove il caldo fa capolino giusto a metà maggio, solo nelle ore di picco del sole e con la facile probabilità di un ribaltamento del meteo da un minuto all’altro.
INCERTEZZA
«Come si fa a raccogliere le prenotazioni, così? - chiede e si chiede Rossana Roma, presidente di Fipe Confcommercio Belluno -. La Fipe calcola che, a livello italiano, solo il 46% degli esercizi potranno riaprire e il 54% restante no. Cosa vuole che dica? Qui nel Bellunese sono tutti disperati. Come si possono gestire prenotazioni a 2 – 4 giorni di distanza in montagna, dove il tempo cambia da un quarto d’ora all’altro? E vogliamo parlare del dehors? Non si tratta mica di gazebo con le pareti chiudibili, ma di semplici coperture che non possono di certo riparare dalla pioggia». Roma, titolare del Ristorante stellato Il Dolada a Plois, in Alpago, vuole azzardare. Ha già comprato le copertine in lana da dare in dotazione ai clienti per riparare le gambe, nel locale da giorni fervono pulizie e preparativi e lei tiene le dita incrociate perché il sole spenda senza riserve. Di più non si può fare. Un pranzo stellato all’aperto con vista sulle montagne dell’Alpago, d’altra parte, potrebbe far gola a molti, tanto più se il cielo è sereno e il sole scalda. Tuttavia non è questa la soluzione ideale, in questo momento. Secondo la presidente Fipe la soluzione sarebbe dovuta essere più strutturata, forse più macchinosa ma di certo più utile per chi gestisce locali: il passaporto vaccinale.
LA VIA D’USCITA
Ovvero un via libera a chi è vaccinato, a chi il Covid l’ha contratto e ne è guarito e anche a chi si presenta al ristorante con il risultato del test appena effettuato.
Il Gazzettino