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MESTRE - L’anno prossimo, al Taliercio, tornerà nella sua Venezia da avversario. Più di terraferma che centro storico a dire la verità: Riccardo Rossato, infatti, 26enne capitano della neopromossa Scafati, è originario della Gazzera. Il suo percorso è stato molto diverso da quello di tanti giovani che iniziano la loro carriera tra le giovanili della Reyer: lui, infatti, è partito dal basket Leoncino, meritandosi la chiamata della nazionale a 15 anni, per poi andare a giocarsi le sue chance a Casalpusterlengo (società che ha lanciato diversi campioni del futuro: un esempio per tutti la stella Nba Danilo Gallinari).
LA GAVETTA
Tanta gavetta, per poi approdare a Reggio Calabria (dove era stato soprannominato “il sindaco” per la sua disponibilità verso i tifosi) e infine a Scafati: negli ultimi quattro anni ha conquistato la fiducia della società e del coach, arrivando a conquistarsi i gradi di capitano. L’ultima stagione, pur partendo dalla panchina, è stata quella del grande salto: per i campani è arrivata la promozione in Serie A. Rossato, miglior marcatore della squadra, è stato protagonista assoluto della cavalcata. «È stato un successo inaspettato, è stupendo - racconta Riccardo - sembra una pazzia pensare che l’anno prossimo giocherò contro la Reyer. Farà un certo che anche, per me che sono di casa, tornare da avversario. Ma lo sport è così».
Scafati è ben diversa da Venezia, ma Rossato non ci ha messo molto ad ambientarsi. «All’inizio è stato un po’ difficile, lo ammetto - continua - però questa cittadina di 50mila abitanti ti dà un calore enorme, ora sto davvero bene qui». Il talento di Riccardo è supportato da una “garra” ereditaria.
Il dna della famiglia Rossato, infatti, deve avere i filamenti in corda, intrecciati come la retina di un canestro.
I TROFEI IN MOSTRA
Silvestro (o “Ross”, come lo conoscono tutti nell’ambiente del basket veneziano) ha una macelleria vicino a piazza Mercato a Marghera. Vende carne e bisogna specificarlo perché a guardarla sembra un vero e proprio tempio del basket, completo di canestro a parete e, ovviamente, foto e ritagli di giornale di tutti i successi dei suoi ragazzi. «Per noi la pallacanestro è una questione di sangue - spiega Silvestro -la passione per questo sport ai miei figli. Quand’erano piccoli avevo tappezzato la casa di canestri: nelle loro camere, in soggiorno, persino in bagno. Non mi interessava che sfondassero, volevo solo che amassero questo gioco quanto me». Niente da dire, missione compiuta. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino