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ROVIGO - Disuguaglianze che aumentano, rendendo sempre più un privilegio quello che invece è, e dovrebbe essere per tutti, un diritto universale, fondamento della nostra Repubblica: quello a un lavoro equo, con tutte le garanzie previste e uno stipendio quanto meno dignitoso. Il difficile anno della pandemia, infatti, ha acuito queste disuguaglianze anche nel fragile Polesine, come testimonia un'articolata analisi della Cgil del Veneto, effettuata confrontando le dichiarazioni dei redditi 2021 sul reddito 2020 delle lavoratrici e dei lavoratori che si sono rivolti ai Caaf.
I NUMERI
Il primo dato che emerge è la conferma di come il Polesine dal punto di vista retributivo sia tristemente e nettamente al di sotto della media regionale, anche se la crisi che ha colpito pesantemente Venezia ha visto quest'ultima provincia salire al primo posto nella classifica dei redditi più bassi del Veneto, scalzando lo storico primato rodigino. Il dato complessivo è addirittura di un reddito medio pro-capite provinciale passato da 17.204 euro a 17.374 euro, riducendo quindi il gap da quello medio regionale passato da 18.559 a 18.361. Le medie, però, appiattiscono le differenze e il valore dell'analisi della Cgil emerge proprio nel dissezionare questo dato aggregato.
IL COMMENTO
«È ormai innegabile - sottolinea con preoccupazione il segretario generale della Cgil di Rovigo Pieralberto Colombo che senza affrontare davvero la questione salariale, senza favorire l'occupazione femminile, senza dare un lavoro dignitoso e sicuro alle nuove generazioni, nessuna crescita duratura sarà possibile, ancor più nel nostro fragile territorio, e si finirà per alimentare nuove e più profonde diseguaglianze. Questa prima chiara fotografia, secondo i dati raccolti dal Caaf della Cgil di Rovigo, mostra con evidenza gli effetti della crisi economica determinata dalla pandemia. Si nota innanzitutto la differenza di reddito pre e post pandemia: la perdita media è di 334 euro, in una provincia che già ha il reddito medio più basso del Veneto. Non tutti sono però nella medesima situazione: il 39,50% dei lavoratori ha visto ridursi significativamente il proprio reddito, il 31% ha migliorato la propria condizione, il 29,50% non ha subito mutamenti. Se si guarda ai lavoratori penalizzati, la perdita media è stata di 3.176 euro, circa due mesi di stipendio. Altra evidenza riguarda quante persone hanno usufruito lo scorso anno di ammortizzatori sociali in Polesine: il 32,60% del totale del campione, dato per altro sottostimato, visto che molti sono stati pagati direttamente dal datore di lavoro, poi rimborsato dall'Inps».
L'ultimo dato sottolineato «è la disparità di trattamento tra uomini e donne, con i primi che hanno avuto un reddito medio lordo di 24.634 euro, le seconde di 17.584. Da questi dati, poi, manca buona parte del lavoro giovanile, che spesso è venuto meno senza avere neppure la copertura degli ammortizzatori, il che dimostra da un lato l'urgenza di una riforma che copra in maniera universale tutti i lavoratori, a prescindere dalle tipologie contrattuali o dalla dimensione dell'impresa, dall'altro che anche la riduzione della precarietà, che spesso colpisce proprio i giovani, deve divenire una priorità per tutti». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino