Ko tecnico, ma l'avversaria "cede" la corona alla rivale polesana

Erika, a sinistra, e Sabrina: grande fair play
VENEZIA - Si sono prima scrutate da lontano, mentre il momento del gong si avvicinava e l'adrenalina cresceva, dopodiché, messi i guantoni, entrambe sul ring hanno fatto il...

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VENEZIA - Si sono prima scrutate da lontano, mentre il momento del gong si avvicinava e l'adrenalina cresceva, dopodiché, messi i guantoni, entrambe sul ring hanno fatto il loro dovere di pugilesse. A vincere però, tra la 28enne mestrina Erika Martinuzzi e la 19enne rodigina Sabrina Oliviero è stato un fair play tutto rosa, con quest'ultima a infliggere il ko al regolamento che le aveva assegnato la vittoria solo perché a finire al tappeto era stata non l'avversaria, bensì la sua lente a contatto.




«Proprio così, nel terzo round di un match equilibrato e corretto ho perso una lente a contatto e, non avendola «dichiarata» per iscritto prima del gong - racconta Erika Martinuzzi, portacolori dell'Union Boxe Mestre e protagonista nel Memorial Gino Campagna - l'arbitro mi ha inflitto il ko tecnico. Da subito mi sono sentita vittima di un'ingiustizia, mi ero allenata duramente per ben figurare, normale che fossi nervosa e quasi in lacrime avendo incassato la mia prima sconfitta senza averle prese». Alla giovane atleta mestrina, tre vittorie e due match pari nei suoi precedenti 5 incontri, ha però teso la mano la sua avversaria sfidata.



«Sabrina è venuta da me dicendo che era stato un bell'incontro e che senza quell'intoppo avrei vinto io. Mi ha consolata, quando mi ha detto di non meritare la medaglia e di volermela riconsegnare l'emozione è stata enorme. La ringrazio non per il valore della vittoria, ma per il grande esempio di rispetto e sportività non scritta nel regolamento. È stato un onore essermi confrontata con lei, un plauso va anche alla sua società (Callegari Boxe Rovigo, ndr), con Sabrina è stato bello ridarsi appuntamento sul ring per la rivincita».



Per la sportivissima Martinuzzi quella per la boxe è una passione recente. «Ho iniziato il mio secondo anno con l'Union Boxe, ho giocato a basket e volley ma sul ring ero già salita praticando kick boxing. Un po’ di paura per i colpi al naso e gli occhi neri c'è sempre, ed è giusto così, però dopo il gong la consapevolezza di dovermela cavare da sola prevale su tutto. La boxe non è solo pugni, ci vuole una grande preparazione fisica e soprattutto mentale. Se poi si ricevono anche lezioni di vita allora diventa una disciplina pressoché perfetta». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino