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PORDENONE - La protesta degli studenti del Kennedy non si ferma, silenziosa, davanti all'istituto, ma è un'onda lunga, che arriva dritta al ministro dell'Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, con una lettera con oltre mille firme in calce. Appartengono a circa due terzi degli iscritti. È stata inviata anche alla direttrice regionale dell'Ufficio scolastico del Friuli Venezia Giulia, Daniela Beltrame. «Non escludiamo che gli altri studenti non abbiano firmato dichiarano i ragazzi per paura delle conseguenze e questo ci fa inorridire, ma nella nostra scuola, purtroppo, è così e capiamo il timore di coloro che hanno avuto paura di esprimere il loro pensiero, che dovrebbe essere garantito dalla Costituzione. Perché è questo ciò che viviamo: chi la pensa diversamente, viene attaccato». Il dissenso intende raggiungere un obiettivo, il cambio al vertice dell'istituto guidato dalla dirigente Laura Borin.
IL MALESSERE
«Speriamo che questa protesta non sia fine a se stessa, ma che porti a dei cambiamenti spiegano i giovani di 64 classi Riteniamo giusto che ci sia un approccio più orientato al dialogo e meno autoritario in un ambiente scolastico».
ESCLUSI
Prosegue la lettera inviata a Valditara: «L'epilogo di questo fiume di parole lascia con il fiato sospeso: "Noi, studenti del Kennedy, non ci sentiamo più studenti del Kennedy". Perché per la provincia di Pordenone e non solo, la scuola è un polo in cui si forma la classe dirigente del territorio, vige l'orgoglio di appartenenza. E nulla di tutto questo prima d'ora era stato messo in discussione. Poi l'escalation della cronaca. Le nostre proposte, le nostre idee e le nostre iniziative non vengono prese in considerazione dalla dirigenza e spesso non ci viene data una vera e propria motivazione per cui non vengono accettate. Tutto ciò che è al di fuori dell'ordinario sviluppo delle lezioni, viene considerato in principio inutile. Ci viene imposto di evitare la novità, di restare tradizionali, per poi sapere che da noi ci si aspetta solo l'innovazione».
I DIRITTI
Viene ribadito che «i rappresentanti in Consiglio di istituto non sanno cosa possono dire e cosa no, con il timore di essere convocati e richiamati». «Noi, studenti del Kennedy, ci sentiamo almeno parzialmente privati del nostro diritto all'istruzione - protestano -. Noi, studenti del Kennedy, crediamo che la nostra scuola stia fallendo in principio, non adempiendo alla sua funzione più importante: formare cittadini». Parole che tagliano come una lama affilata, poiché vengono pronunciate dai ragazzi dai 14 ai 19 anni, senza filtri, più sul filo del sentimento che della normativa, più sul piano della vita che della norma. Chissà se i vertici del ministero incontreranno gli studenti che chiedono ascolto.
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Il Gazzettino