PORDENONE - La protesta degli studenti del Kennedy non si ferma, silenziosa, davanti all'istituto, ma è un'onda lunga, che arriva dritta al ministro dell'Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, con una lettera con oltre mille firme in calce.
IL MALESSERE
«Speriamo che questa protesta non sia fine a se stessa, ma che porti a dei cambiamenti spiegano i giovani di 64 classi Riteniamo giusto che ci sia un approccio più orientato al dialogo e meno autoritario in un ambiente scolastico». La lettera è articolata con passaggi delicati, ne esce un malessere di chi vive il Kennedy giorno dopo giorno. Dall'altra parte, Borin aveva ribadito con una nota quanto l'istituto stia facendo in termini di risultati. La dirigente, tuttavia, non è scesa in mezzo ai suoi allievi, non ha cercato di aprire un dialogo. E così siamo davanti a "una cortina di ferro", posizioni ai poli opposti. L'istituzione da un lato che guarda alla forma ai premi di risultato (per dirla come se fosse un'azienda) e dall'altro chi vuole un modus operandi differente. Nel mezzo l'iceberg, aleggia una tensione paradossale. "Attenti, in questa scuola anche i muri hanno occhi e orecchie, non dite mai qualcosa di compromettente", troviamo scritto nella missiva come un mantra che tutti gli allievi conoscono dal loro ingresso al primo anno».
ESCLUSI
Prosegue la lettera inviata a Valditara: «L'epilogo di questo fiume di parole lascia con il fiato sospeso: "Noi, studenti del Kennedy, non ci sentiamo più studenti del Kennedy". Perché per la provincia di Pordenone e non solo, la scuola è un polo in cui si forma la classe dirigente del territorio, vige l'orgoglio di appartenenza. E nulla di tutto questo prima d'ora era stato messo in discussione. Poi l'escalation della cronaca. Le nostre proposte, le nostre idee e le nostre iniziative non vengono prese in considerazione dalla dirigenza e spesso non ci viene data una vera e propria motivazione per cui non vengono accettate. Tutto ciò che è al di fuori dell'ordinario sviluppo delle lezioni, viene considerato in principio inutile. Ci viene imposto di evitare la novità, di restare tradizionali, per poi sapere che da noi ci si aspetta solo l'innovazione».
I DIRITTI
Viene ribadito che «i rappresentanti in Consiglio di istituto non sanno cosa possono dire e cosa no, con il timore di essere convocati e richiamati». «Noi, studenti del Kennedy, ci sentiamo almeno parzialmente privati del nostro diritto all'istruzione - protestano -. Noi, studenti del Kennedy, crediamo che la nostra scuola stia fallendo in principio, non adempiendo alla sua funzione più importante: formare cittadini». Parole che tagliano come una lama affilata, poiché vengono pronunciate dai ragazzi dai 14 ai 19 anni, senza filtri, più sul filo del sentimento che della normativa, più sul piano della vita che della norma. Chissà se i vertici del ministero incontreranno gli studenti che chiedono ascolto.
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