Da profugo a mediatore culturale: storia di Alì, fuggito dall'Afghanistan

Da profugo a mediatore culturale: storia di Alì, fuggito dall'Afghanistan
Dalla Grecia all'Italia attaccato sotto un camion per 34 ore. È la storia di Alì Akhtar, 25 anni, afgano, nato a Kunar. Nel nostro paese è arrivato nel 2011 passando per...

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Dalla Grecia all'Italia attaccato sotto un camion per 34 ore. È la storia di Alì Akhtar, 25 anni, afgano, nato a Kunar. Nel nostro paese è arrivato nel 2011 passando per l'Iran, la Turchia e la Grecia dove è rimasto per 30 giorni perché non gli davano soggiorno e «dove - racconta - raccoglievo le arance fino a che non faceva notte, fino a che riuscivo a vederle. In Grecia rischiavo di morire, ripetevo a me stesso o vai in un altro paese o muori». Un giorno la salvezza. Alì si lega con una corda sotto un tir e inizia il viaggio che gli permetterà di riscattarsi. Là sotto, avvinghiato al cassone a pochi metri dall’asfalto, ci rimane appunto per 34 interminabili ore: riesce a ricostruire il tempo trascorso "sospeso" in base al documento greco con cui gli veniva intimato di abbandonare lo stato. «Sono sceso al parco San Giuliano il 19 giugno - ricorda - ho chiesto a qualcuno se parlava inglese. Ero tutto nero, sporco con una maglia da buttare. Mi hanno dato acqua e biscotti. Il giorno dopo sono andato in questura e poi in una comunità. Dopo qualche tempo ho cominciato a lavorare in una cooperativa». Alì ha gli occhi lucidi quando ripensa ai momenti felici nella sua città natale. «Quando ero lì non avrei mai pensato un giorno di dovermene andare, ero felice con i miei due fratelli, le mie due sorelle, mamma e papà. Questo fino a una sera. Avevo 17 anni. I talebani arrivarono a casa nostra e volevano rapirmi. Avevano perso un uomo e consideravano responsabile della perdita mio padre. Lui conosceva dei poliziotti e i talebani volevano che li favorisse in alcuni spostamenti nei posti di blocco. Non fu così.


Al posto di blocco spararono e uccisero un talebano. Quindi per una persona morta, volevano in cambio me. Mio padre pagò ma questo non servì perché dopo un anno loro tornarono, picchiarono davanti a me mio padre e mia sorella. Mi puntarono un coltello al petto e dissero che dovevo andare con loro». Per questo Alì decide di scappare. Ora vive a Marghera, dove condivide il suo appartamento con altri 6 profughi. Lavora a tempo pieno per una cooperativa di Mirano dove fa il mediatore e l'interprete. Sa cinque lingue: afghano, inglese, indiano, persiano e parla eccellentemente l’italiano: «Io - dice - che non sapevo nemmeno esistesse un paese chiamato Italia». Ha conseguito la licenza media e anche la patente di guida facendo i quiz di notte o in autobus finché andava al lavoro. Gran parte del suo stipendio lo invia alla madre, ai fratelli di 13 e 16 anni e alla sorella di 17. I talebani quattro anni fa sono tornati ma lui era già in Grecia. Non trovandolo hanno ammazzato il padre e la sorella maggiore Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino