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BELLUNO - Domani la tappa "regina" del Giro d'Italia partirà da Longarone, un doveroso omaggio alle 1.910 vittime del Vajont nel sessantesimo anniversario della strage. Ma ora il Veneto rischia di perdere la memoria fisica dell'immane tragedia: gli atti dei processi, temporaneamente trasferiti dall'Aquila (dove vennero celebrate le udienze) a Belluno (a causa delle difficoltà logistiche connesse al terremoto in Abruzzo), per legge devono infatti tornare nella città in cui venne definito il procedimento penale. Erika Baldin, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Consiglio regionale, ha presentato così un'interrogazione in cui chiede alla Giunta di Luca Zaia di mobilitarsi per la permanenza dei 250 faldoni nel capoluogo montano, anziché spostarsi a 700 chilometri di distanza: «Mantenere lì quei documenti, recentemente inseriti nel Registro della Memoria Unesco, rappresenta una sorta di riconoscimento etico».
LE PROROGHE
L'obbligo della restituzione aleggia da anni sulle istituzioni delle Dolomiti. E non solo su quelle: ancora nel 2019 l'assemblea legislativa di Palazzo Ferro Fini aveva approvato all'unanimità una mozione, sottoscritta da tutte le forze politiche, che domandava appunto di lasciare a Belluno il fondo rivendicato dall'Aquila.
L'ECCEZIONE
Ma la normativa è chiara. Dopo 40 anni dalle sentenze, gli atti diventano consultabili per finalità di ricerca storica, tant'è vero che la competenza sulla loro gestione passa dal ministero della Giustizia a quello della Cultura. La sede resta però quella giurisdizionale, all'epoca spostata da Belluno all'Aquila per legittima suspicione (cioè il legittimo sospetto degli imputati che testimoni e giudici potessero essere influenzati dalle circostanze ambientali), a causa dei problemi di ordine pubblico legati alle forti polemiche scatenate dal tremendo disastro. Per derogare a questo obbligo servirebbe un decreto ministeriale appositamente dedicato a questa vicenda. Indubbiamente un'eccezione di questo tipo costituirebbe un rilevante precedente, con tutte le conseguenze del caso, ma oggettivamente nella storia italiana il Vajont è stato un caso straordinario, il che forse meriterebbe un'attenzione particolare.
L'IMPEGNO
Ne è convinta Baldin, al punto da sollecitare formalmente l'impegno della Regione: «Credo sia giusto che l'archivio rimanga qui, a Belluno, dove ogni anno ricordiamo le 1.910 persone scomparse il 9 ottobre 1963 in quel disastro causato dall'uomo, non certo dalla natura. Una memoria quanto mai attuale, purtroppo, nel Veneto e nell'Italia funestati dal dissesto idrogeologico e dal cambiamento climatico: si direbbe che non abbiamo imparato dagli errori del passato». La pur preziosa digitalizzazione, tuttora in corso, non basta a una comunità ancora ferita: la memoria del Vajont è fatta di carte, bobine, rocce. «Belluno è il luogo ideale dove poterle conservare», ribadisce Padrin.
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Il Gazzettino