Prix, l'avventura di Giuliano e dei 6 fratelli maghi del discount

Giuliano Fosser con la sua famiglia
VICENZA - Questa è la storia di sette fratelli di Torri di Quartesolo figli di un acetaio, l’artigiano che faceva l’aceto. Hanno creato un piccolo impero nel...

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VICENZA - Questa è la storia di sette fratelli di Torri di Quartesolo figli di un acetaio, l’artigiano che faceva l’aceto. Hanno creato un piccolo impero nel mondo del discount che vale oggi 200 negozi sparsi tra Veneto e Lombardia, duemila dipendenti e un fatturato che supera il mezzo miliardo di euro. L’impero è quello del “Prix”, la famiglia è quella dei Fosser che partono dal paese del Vicentino chiamato Quartesolo perché distava quattro miglia romane da Vicenza. Il nome della catena è nato dalla risposta che uno dei fratelli dava ai rappresentanti quando quelli parlavano troppo. Li interrompeva: «Non ho tempo, dammi il prix». E Prix è rimasto, l’inglese non c’entra. «Però ha funzionato subito», dice Giuliano Fosser, 67 anni, che dirige l’azienda a nome della famiglia. Tre figli che lavorano con lui. Gli altri fratelli si chiamano: Radames (72 anni), Ludovico, Vladimiro, Gigliola, Gianbattista, Antonio Luciano (59). Tutto è nato nel 1971 con i primi “Supermercati Fosser” a Torri di Quartesolo che allora aveva tremila abitanti e non era diventato il paese dei due centri commerciali più grandi del Veneto: le “Piramidi” che hanno 150 negozi in un unico blocco, compresi cinema e discoteca; il “Palladio”, 100 negozi.

Come è incominciata l’avventura dei Fosser? «Mio padre Giovanni era un imprenditore vecchia maniera. Voleva fare tutto, aveva l’acetificio e i campi. Con sette figli doveva lavorare molto, comprava partite di vino che era andato a male, quello dal quale i contadini facevano aceto. Avevamo anche un po’ di campi, coltivati solo per le esigenze della famiglia. Papà vendeva l’aceto a un grossista di alimentari, lo stesso che anni dopo gli ha proposto di entrare in società nel primo supermercato che era affiliato a una catena nazionale. È allora che è nata l’idea di essere indipendenti, col supermercato papà ha visto giusto e ha coinvolto i figli. Si è subito affiliato con Cestaro che come grossista conosceva l’ambiente, forniva i casoin veneti. Papà è stato lungimirante, per il primo punto vendita aveva scelto un luogo strategico, aveva comprato da tempo la terra: era vicino al ponte di pietra sul Tesina, c’erano tre paesi nel raggio di pochi metri».

Lei è il primo della famiglia che ha studiato? «L’infanzia l’abbiamo passata in gran parte in collegio dai Camilliani, i più grandi a Milano, io a Pergine, era proprio un seminario, tornavamo a casa solo per Natale e Pasqua. Gli altri hanno fatto elementari e medie in paese. Torre allora era un paesino di campagna, siamo figli dell’Italia che è cresciuta col miracolo economico, siamo figli di una generazione che ha avuto il coraggio di fare il passo. Per noi da ragazzi esisteva solo il calcio, abbiamo giocato tutti a livello dilettanti, ma Ludovico ha giocato da attaccante anche in serie C con la maglia blu del Valdagno con gente diventata famosa, come Giorgio Biasiolo che è stato nel Vicenza e poi nel Milan; come Enea Masiero che aveva voluto chiudere nel Valdagno dopo aver vinto scudetti e Coppa Campioni nella Grande Inter. Mi piace moltissimo il calcio, il cuore è solo per il Vicenza, quando è stato necessario abbiamo anche dato una mano. Ho vissuto il Vicenza prima di Paolo Rossi poi di Baggio. L’unico che è andato avanti negli studi sono stato io, papà si era fermato presto e voleva che in famiglia ci fosse uno che avesse i titoli per portare avanti l’azienda. Fosse dipeso da lui non avrebbe mai chiuso l’acetificio, prima chiamavano tutti a casa per vendere vino, mamma non vedeva l’ora di chiudere e a chi le chiedeva cosa ne avrebbero fatto di tutto quel vino, rispondeva: “Buttatelo nel fiume!”. Mi sono laureato a Ca’ Foscari in Economia con una tesi sui supermercati, col professor Giorgio Brunetti che è stato il primo in Italia a studiare il fenomeno della grande distribuzione».

Dopo quel primo supermercato, come siete cresciuti? «Da quel primo, che è ancora aperto, sono nati i “Supermercati Fosser”, quando siamo entrati abbiamo dovuto imparare tutto. Io studiavo e andavo ad aiutare venerdì e sabato, imparavo a fare il commesso. Dopo un paio di anni abbiamo aperto il secondo negozio a Vicenza, nel 1980 il terzo proprio in centro città, vicino all’ospedale, e ci siamo chiamati “Supermercati Vicentini”. Non c’erano ancora i grossi centri commerciali, il supermercato era soprattutto un grande negozio di quartiere che attirava clienti nel raggio di qualche chilometro. Un po’ la logica alla quale piano piano si sta ritornando».

Quando siete diventati discount? «Nel 1992, ci ha spinto a farlo l’arrivo della Lidl, il colosso tedesco. Abbiamo un po’ copiato, non si inventa niente di nuovo nel commercio: abbiamo cambiato strategia e da supermercato ci siamo trasformati in discount. La differenza è che il discount offre prodotti di marche limitate ma a prezzi molto più bassi, c’è meno varietà ma più convenienza. Usiamo prodotto di qualità non pubblicizzati. I generi più venduti sono acqua, latte, pasta e detersivi, pelati, succhi di frutta e ovviamente la carta igienica. Prix oggi è una bella realtà dell’Italia del Nord, una realtà in crescita che ha come obiettivo raggiungere in cinque anni il miliardo di fatturato. È un’azienda tutta dei fratelli, solo Vladimiro è uscito per mettersi in proprio in un’altra attività quella delle pelliccerie dove è tuttora. Siamo sempre stati uniti, se siamo insieme da 50 anni vuol dire che pur discutendo abbiamo sempre trovato un punto di sintesi. Un paio di volte all’anno ci ritroviamo tutti con le famiglie, figli e nipoti».

Cosa è cambiato col Covid19? «La gente viene meno nei negozi, ma compra di più, è aumentata la spesa media. Sono cambiati i consumi: tanti si fanno da mangiare a casa, c’è stato il boom del lievito di birra per fare il pane, ora si fanno dolci, pizza, pasta. Certo è aumentato anche il fatturato. È chiaro, comunque, che il mondo del discount va in crescita, la gente ha capito che il rapporto qualità-prezzo è più conveniente e che la qualità non dipende dalla pubblicità».

Come è nel Veneto la situazione dei centri commerciali? «Ora ci sono troppi centri commerciali, ma con questa situazione la gente si sposta di meno e stanno soffrendo le grandi superfici di vendita. Il futuro è della spesa a domicilio che però nel settore alimentare ha ancora bassa incidenza: la gente vuole vedere ciò che mangia. Di centri commerciali ce ne sono anche troppi, c’è stato un periodo in cui si vendevano gli spazi commerciali a prezzi alti e alle multinazionali interessava occupare. Adesso le cose sono cambiate, l’Auchan lascia l’Italia e anche la Cina, dove non guadagnano vanno via. Noi invece siamo legati al territorio. Nel Veneto come grande distribuzione c’è una forza: Alì, Pam, Cadoro, Famila; anche Eurospin su quattro soci ne ha due veneti, poi c’è la galassia dei Cestaro….».

Cosa le manca di quel passato? «Lo spirito che ci animava e che ha animato la generazione che in Veneto ha fatto il vero miracolo economico. Quando papà veniva nel supermercato stava in mezzo alla gente che veniva anche da lontano, gli piaceva parlare, ascoltare. Quel negozio in zona era una novità assoluta, già da allora aveva pensato di far portare la spesa a casa, eravamo tutti mobilitati alla chiusura di mezzogiorno. So bene che tutto è cambiato, ma ho la sensazione che si stia piano piano ritornando al vecchio supermercato di quartiere. Anche per conseguenza di questa pandemia e anche perché la popolazione è invecchiata. Insomma, l’aria è che il grande centro commerciale abbia fatto un po’ il suo tempo». 

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Il Gazzettino