Detenuto in condizioni disumane nello Stalag, la Germania condannata a risarcire un soldato friulano: al figlio 333mila euro

La sentenza del Tribunale di Pordenone è stata appellata all'avvocatura italiana

Detenuto in condizioni disumane, la Germania condannata a risarcire un soldato friulano: al figlio 333mila euro
PORDENONE - La Germania è stata condannata a risarcire il figlio di un internato per le disumane condizioni di vita a cui il padre è stato sottoposto in uno Stalag,...

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PORDENONE - La Germania è stata condannata a risarcire il figlio di un internato per le disumane condizioni di vita a cui il padre è stato sottoposto in uno Stalag, uno dei campi in cui venivano ammassati i prigionieri di guerra. La sentenza è stata emessa dal Tribunale di Pordenone. Il giudice Francesco Petrucco Toffolo ha calcolato un ristoro di 473,79 euro per ogni giorno di prigionia. Se fosse ancora in vita, per quei 703 giorni che lo hanno segnato per il resto della sua esistenza, a quel soldato italiano che i tedeschi consideravano un traditore dopo l'8 settembre 1943 sarebbero destinati 333mila euro, a cui si aggiungono le spese di lite quantificate dal giudice in 12mila.


LA STORIA
Classe 1907, originario dell'Alto Friuli ma poi vissuto nel Pordenonese, l'uomo era stato catturato a Pola dopo l'Armistizio. Trasportato in Germania, nel campo di prigionia di Ziegenhain, vi è rimasto fino al maggio del 1945. Non era un campo di sterminio, è vero, ma era ugualmente una fabbrica di morte, dove i soldati venivano costretti ai lavori forzati, prevalentemente nelle fabbriche di armi e munizioni. Per quasi due anni il reduce friulano ha patito fame, freddo, umiliazioni, fatiche inaudite e privazioni inimmaginabili. Per tutta la vita ha dovuto fare i conti con l'incubo della memoria. Il Fondo per i danni subiti dalle vittime dei crimini di guerra o contro l'umanità, in questo caso commessi da parte delle forze armate del Terzo Reich, ha dato la possibilità al figlio di chiedere un risarcimento.


L'AZIONE
Non è il primo caso, ma forse è uno degli ultimi, perché la finestra per poter accedere ai risarcimenti è stata chiusa alla fine dello scorso giugno. Per poter sperare in un ristoro bisognava dimostrare, con prove documentali, la detenzione in un lager o in uno Stalag. Il figlio aveva conservato foglio di matricola, l'attestazione con cui la Prefettura di Udine dichiarava che il reduce di guerra era stato internato in Germania, ma anche alcune lettere inviate ai familiari in Friuli, nelle quali raccontava delle dure condizioni di vita e chiedeva qualche pacco con cibo e vestiario per poter continuare a sopravvivere. Condizioni di vita disumane.


L'APPELLO


La partita non è conclusa. La causa era contro la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dell'Economia e delle Finanza, oltre che contro la Repubblica federale della Germania e i suoi ministeri delle Finanza e degli Esteri. I tedeschi non hanno partecipato al processo. Erano contumaci. Mentre le istituzioni italiane si sono fatte difendere dall'avvocatura dello Stato di Trieste. Nonostante il Tribunale abbia condannato soltanto la Germania a risarcire l'erede del soldato, la stessa avvocatura ha fatto ricorso in appello. È un aspetto piuttosto controverso: si va a discutere in secondo grado una sentenza che riguarda uno Stato che non si è neanche costituito. Il Fondo da cui si attinge per i risarcimenti è comunque gestito dall'Italia, che così si sostituisce alla Germania con il pagamento di quanto è dovuto dalla stessa, impedendo così un'azione esecutiva nei suoi confronti. E forse è proprio in questo passaggio che si incardina il ricorso in appello. È un punto che evidenzierà in Corte d'appello a Trieste l'avvocato Carmine Mazzola, il legale del Foro di Treviso che ha seguito tutta la vicenda. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino