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BELLUNO - Le storie di questi giovani preti di montagna sono eroiche. Chi segue 5 paesi e 1700 parrocchiani, chi ha dovuto affrontare l'emergenza della chiesa a rischio crollo, chi ancora trova il modo di parlare con i giovani.
QUI AGORDINO
Don Fabiano Del Favero, dal 2013 è parroco di Rivamonte Agordino, Gosaldo, Tiser, dal 2016 anche di Frassenè e Voltago. Ha 40 anni, è originario di Nebbiù di Cadore. A giugno saranno 14 anni che è prete. Più che di un'emergenza della fede, lui nota come nelle sue vallate ci sia «fame di relazioni all'interno della comunità. In questi anni ho lavorato proprio su questo con i "miei" 1700 parrocchiani sparsi nelle 64 frazioni», racconta poco dopo le 9 di mattina, dopo la prima messa e durante la visita per la benedizione delle case, in cui saluta un anziano in dialetto cadorino. Non a caso l'Osservatore romano, nel 2021, lo ha definito e a ragione "un prete di montagna". Dal 2018 esiste un unico consiglio parrocchiale, il catechismo è svolto attraverso una sorta di patto tra le famiglie e la parrocchia, le celebrazioni, i sacramenti sono capisaldi, così come le sue omelie, schiette, dirette, intense.
QUI CADORE
Don Alessandro Coletti, invece, da un anno e mezzo è parroco di Valle di Cadore, Venas di Cadore e Cibiana. Ha 39 anni, originario di Tai di Cadore ed è prete dal 2014, da 9 anni. Quando è arrivato lui la parrocchia era senza un prete (perché don Giuseppe Bortolas è morto improvvisamente nell'aprile 2021), la chiesa di Valle era chiusa e inagibile, «si respirava un senso di precarietà, sono entrato in punta di piedi e, insieme alla comunità, abbiamo ripreso le fila». Ad incoraggiarlo a stare vicino ai più giovani sono spesso gli anziani, che rappresentano la sicurezza e lo zoccolo duro dei fedeli di quei comuni. «La pandemia, qui da noi, ha fatto molta selezione tra ragazzi - racconta e vanno forse più coltivati. Ho la fortuna di avere un gruppo di suore salesiane, che hanno nel carisma l'aver cura dei giovani. C'è un gruppetto di giovani che si interroga e lo fa in profondità e in verità, mi danno una mano in oratorio, al catechismo, vengono a messa tranquillamente due, tre volte a settimana. Non vivono una fede abitudinaria e chiedono di essere nutriti, poi c'è un gruppo, maggioritario, più lontano che non si è ripreso dopo il Covid, giovani che vivono da reclusi e non escono a giocare nemmeno al campetto con gli amici, un numero non insignificante. È difficili stanarli, sono proprio impermeabili, anche con i coetanei che cercano di coinvolgerli». Don Alessandro ha ripreso ad organizzare i campeggi di Copada e con una decina di ragazzi andrà a Lisbona alla Giornata mondiale della Gioventù.
QUI BELLUNO
Don Alex Vascellari, da ottobre è parroco di San Gervasio a Belluno, nonché direttore dell'Ufficio diocesano per la liturgia. Ha 36 anni, è di Calalzo di Cadore ed è prete dal 2012. Ci si chiede se un sacerdote giovane arriva prima ai giovani. La risposta di don Alex non è ordinaria: «In alcuni casi vedi ragazzi affezionatissimi a preti anziani e non è scontato che accada il contrario». Perché si fatica a parlare ai giovani in modo diretto? «Bisogna trovare il modo per fare esperienza del vangelo di Gesù, trovando il modo più efficace, che a volte si è abbandonato - spiega -: quello di parlare in modo diretto, che sembra quasi "impositivo". La fede, l'incontro con Gesù Cristo, non deve aiutarci a dare risposte ma a suscitare domande profonde». Cosa vuol dire essere prete oggi? «Significa avere uno sguardo ampio. C'è la vita delle parrocchie, delle persone, l'annuncio del vangelo e le attività pratiche. Come la collaborazione tra parrocchie: bisogna essere allenati a prendersi cura dell'insieme. (Fe.Fa.) Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino