Preti di montagna. I giovani super-parroci in 64 frazioni con 1700 fedeli La situazione

Lunedì 3 Aprile 2023
I giovani super-parroci 64 frazioni, 1700 fedeli

BELLUNO - Le storie di questi giovani preti di montagna sono eroiche.

Chi segue 5 paesi e 1700 parrocchiani, chi ha dovuto affrontare l'emergenza della chiesa a rischio crollo, chi ancora trova il modo di parlare con i giovani.

QUI AGORDINO
Don Fabiano Del Favero, dal 2013 è parroco di Rivamonte Agordino, Gosaldo, Tiser, dal 2016 anche di Frassenè e Voltago. Ha 40 anni, è originario di Nebbiù di Cadore. A giugno saranno 14 anni che è prete. Più che di un'emergenza della fede, lui nota come nelle sue vallate ci sia «fame di relazioni all'interno della comunità. In questi anni ho lavorato proprio su questo con i "miei" 1700 parrocchiani sparsi nelle 64 frazioni», racconta poco dopo le 9 di mattina, dopo la prima messa e durante la visita per la benedizione delle case, in cui saluta un anziano in dialetto cadorino. Non a caso l'Osservatore romano, nel 2021, lo ha definito e a ragione "un prete di montagna". Dal 2018 esiste un unico consiglio parrocchiale, il catechismo è svolto attraverso una sorta di patto tra le famiglie e la parrocchia, le celebrazioni, i sacramenti sono capisaldi, così come le sue omelie, schiette, dirette, intense. Ne sa qualcosa chi lo ha accompagnato in Terra Santa qualche settimana fa.


QUI CADORE
Don Alessandro Coletti, invece, da un anno e mezzo è parroco di Valle di Cadore, Venas di Cadore e Cibiana. Ha 39 anni, originario di Tai di Cadore ed è prete dal 2014, da 9 anni. Quando è arrivato lui la parrocchia era senza un prete (perché don Giuseppe Bortolas è morto improvvisamente nell'aprile 2021), la chiesa di Valle era chiusa e inagibile, «si respirava un senso di precarietà, sono entrato in punta di piedi e, insieme alla comunità, abbiamo ripreso le fila». Ad incoraggiarlo a stare vicino ai più giovani sono spesso gli anziani, che rappresentano la sicurezza e lo zoccolo duro dei fedeli di quei comuni. «La pandemia, qui da noi, ha fatto molta selezione tra ragazzi - racconta e vanno forse più coltivati. Ho la fortuna di avere un gruppo di suore salesiane, che hanno nel carisma l'aver cura dei giovani. C'è un gruppetto di giovani che si interroga e lo fa in profondità e in verità, mi danno una mano in oratorio, al catechismo, vengono a messa tranquillamente due, tre volte a settimana. Non vivono una fede abitudinaria e chiedono di essere nutriti, poi c'è un gruppo, maggioritario, più lontano che non si è ripreso dopo il Covid, giovani che vivono da reclusi e non escono a giocare nemmeno al campetto con gli amici, un numero non insignificante. È difficili stanarli, sono proprio impermeabili, anche con i coetanei che cercano di coinvolgerli». Don Alessandro ha ripreso ad organizzare i campeggi di Copada e con una decina di ragazzi andrà a Lisbona alla Giornata mondiale della Gioventù.


QUI BELLUNO
Don Alex Vascellari, da ottobre è parroco di San Gervasio a Belluno, nonché direttore dell'Ufficio diocesano per la liturgia. Ha 36 anni, è di Calalzo di Cadore ed è prete dal 2012. Ci si chiede se un sacerdote giovane arriva prima ai giovani. La risposta di don Alex non è ordinaria: «In alcuni casi vedi ragazzi affezionatissimi a preti anziani e non è scontato che accada il contrario». Perché si fatica a parlare ai giovani in modo diretto? «Bisogna trovare il modo per fare esperienza del vangelo di Gesù, trovando il modo più efficace, che a volte si è abbandonato - spiega -: quello di parlare in modo diretto, che sembra quasi "impositivo". La fede, l'incontro con Gesù Cristo, non deve aiutarci a dare risposte ma a suscitare domande profonde». Cosa vuol dire essere prete oggi? «Significa avere uno sguardo ampio. C'è la vita delle parrocchie, delle persone, l'annuncio del vangelo e le attività pratiche. Come la collaborazione tra parrocchie: bisogna essere allenati a prendersi cura dell'insieme. (Fe.Fa.)

Ultimo aggiornamento: 4 Aprile, 12:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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