VENEZIA Hanno aspettato una ventina di minuti, poi, come ampiamente previsto, la seduta si è chiusa per la mancanza del numero legale necessario per votare il bilancio...
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IL NODO DI FUSINA
All'origine della controversia, com'è noto, la modifica del Piano economico finanziario e della concessione alla società Venice Ro Port Mos (Gruppo Mantovani) al terminal di Fusina, risalente alla precedente gestione del porto da parte dell'ex sindaco e ministro Paolo Costa. Un nodo che si trascina da anni, se si considera che già nel 2018 e nel 2019 il bilancio del Porto era passato solo grazie alla presenza del rappresentante della Città metropolitana, che aveva garantito il numero legale pur astenendosi dal voto.
Questa volta non è andata così. E a dimostrare che il vento, alla sede delle Zattere dell'Autorità, è decisamente cambiato è lo stesso sindaco Luigi Brugnaro, che pure nega un'azione congiunta con la regione per far saltare la guida del Porto: «Non c'è nessun piano - attacca - e nessun mandante, ma se qualcuno ha deciso di avallare certe cose ne risponderà. Vedo che adesso tutti si stracciano le vesti senza conoscere la questione, o che parlano di progetti fantasiosi. Io dico solo che è stata firmata un'azione - la concessione alla Venice Ro Port Mos, ndr - che non era passata in consiglio».
RIMEDIO IN EXTREMIS
Da parte sua Musolino ha già spiegato che l'Accordo di revisione deliberato lo scorso gennaio era stato adottato per rimediare a una concessione già contestata a suo tempo dall'Avvocatura dello Stato in quanto troppo favorevole alla società di Fusina. Ma niente, sindaco e presidente sembrano ormai viaggiare su rotte divergenti. Sembra un'altra epoca quando Musolino, fresco di nomina nel 2017, si dichiarava favorevole a far arrivare le grandi navi in Marittima attraverso il canale dei Petroli e il Vittorio Emanuele, come sostenuto da Brugnaro. O quando i due duettavano a favore di una nuova area logistica del Nordest basata su porto e aeroporto. I primi scricchiolii dell'intesa c'erano stati quando il porto si era messo di traverso al progetti del Comune per la piscina di Marghera, e quando Ca' Farsetti aveva contestato l'idea del porto di creare un polo ricettivo in Marittima.
ROTTE DIVERGENTI
Ma le distanze, va da sè, sono divenute incolmabili a ridosso delle prossime elezioni regionali e comunali. Il sindaco nega l'esistenza di un asse Zaia-Brugnaro per far fuori Musolino, nominato a suo tempo dal ministro Pd Graziano Delrio. Ma a Musolino, che sottolinea che «l'Ente ha un bilancio particolarmente florido, oltre che già validato dai revisori nominati dal Mef e dal Mit», il sindaco replica che «il bilancio è in salute ma il porto non ha scavato i canali e non ha risolto il problema delle grandi navi. Due più due fa quattro, non c'entra la destra e la sinistra».
FUTURO A RISCHIO
Così i duellanti si ritrovano ora d'accordo su un unico punto. Il mancato voto sul bilancio, legge alla mano, porterebbe al commissariamento dell'Ente, con «ricadute gravi - dice Musolino - perché rischia di limitare l'operatività dell'Autorità in una fase congiunturale che richiederebbe, invece, soluzioni condivise innovative e flessibili per rilanciare il cluster marittimo e scongiurare eventuali crisi occupazionali». Ed entrambi ora guardano a Roma, dove il ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli attende l'esito degli approfondimenti tecnici e amministrativi sui rilievi sollevati dai consiglieri ribelli. Lo stesso ministro del resto è atteso a Venezia il 10 luglio per la prova generale del sollevamento del Mose. E per quella data, forse, si conoscerà l'esito della querelle. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino