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CHIOGGIA - Il porto di Chioggia rischia il peggio. Ormai non risulta più competitivo con quelli vicini perché, a causa di una serie di preoccupanti fattori, primo fra tutto la mancata adozione di politiche mirate, i costi sono lievitati oltre il limite dell'accettabilità. In pratica non è più in grado di reggere la concorrenza.
IL CASO
Ad esempio, da quando lo scalo clodiense non dispone più del rimorchiatore che ha avuto a propria completa disposizione sino allo scorso anno, si rende necessario farne accorrere di volta in volta uno da Venezia per le manovre di entrata ed uscita di tutte le unità superiori ad una certa stazza. Il costo del servizio è aumentato del 300 per 100 perché, com'è ovvio, la compagnia mette in conto il trasferimento.
«Dall'8 giugno, data in cui sono entrare in vigore le attuali modalità penalizzanti si legge in una nota - anche i pochi clienti affezionati sopravvissuti al lungo periodo in cui le secche, recentemente eliminate, avevano reso lo scalo mercantile di Val da Rio inaccessibile alle navi di media stazza, stanno valutando scali alternativi. Loro malgrado, poterebbero dirottare i traffici in qualunque altro porto dell'Alto Adriatico, da Trieste ad Ancona». In questo caso, finirebbero pure vanificati gli sforzi dei professionisti che ormai da lunghi mesi stanno facendo l'impossibile pur di riportare a Chioggia i traffici perduti a causa delle secche. Il crollo degli arrivi e delle partenze ha, nel frattempo, messo in ginocchio i terminalisti portuali. Si tratta delle aziende che danno lavoro alle maestranze addette al carico ed allo scarico delle merci. I circa 40 dipendenti delle tre società attive a Chioggia espletano, organizzano e gestiscono le operazioni e dei servizi del ciclo portuale. «I terminalisti hanno già comunicato riferiscono gli agenti e gli spedizionieri - che qualora, entro il 31 dicembre, non fosse raggiunto un accordo nel merito dei canoni per il rinnovo delle rispettive concessioni demaniali, saranno giocoforza obbligati a ridimensionare drasticamente il personale o addirittura cessare ogni attività».
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Il Gazzettino