Rimpatrio volontario dei richiedenti. I profughi non vogliono andarsene

I profughi trasferiti dalla caserma Monti
PORDENONE - Ad usufruire dell’opzione per il rimpatrio assistito, nell’ultimo mese sono stati due persone di nazionalità straniera: un cittadino indiano e...

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PORDENONE - Ad usufruire dell’opzione per il rimpatrio assistito, nell’ultimo mese sono stati due persone di nazionalità straniera: un cittadino indiano e un ragazzo ghanese. Sono stati aiutati dall’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Si è trattato cioè di un percorso indipendente rispetto a quello pubblicizzato il 5 luglio a Trieste dal vicepremier Matteo Salvini. Il protocollo, infatti, sta procedendo a rilento e ancora non ha partorito risultati. In provincia di Pordenone non ci sono migranti che ad oggi possono usufruire dei cosiddetti rimpatri volontari, basati sul reinserimento lavorativo e sociale nei paesi d’origine. E quasi nessuno se ne vuole andare.  Che il protocollo di Trieste, siglato nella stanza più bella della Prefettura del capoluogo regionale, non fosse immediatamente traducibile in un’ondata di rimpatri, era parso chiaro sin dal giorno dell’annuncio. Ora però la messa in moto dell’intero ingranaggio sta procedendo con difficoltà, tanto da partorire zero richieste di rimpatrio evase nella Destra Tagliamento. Sul tema c’è una doppia conferma. La prima arriva direttamente dalle stanze della Prefettura di Pordenone, che ha in carico la materia come stabilito dal protocollo di Trieste; la seconda proviene invece dalle associazioni che con i migranti operano ogni giorno sul territorio pordenonese. Il risultato è lo stesso: l’intero procedimento è complesso, e la misura stenta per ora a diventare realtà. «Si tratta di una procedura particolare - ha ammesso il prefetto di Pordenone, Maria Rosaria Maiorino - che deve coinvolgere tante associazioni e tanti enti. La Prefettura - ha aggiunto - è attenta a compiere tutti i passi nella giusta direzione. Ad oggi non possiamo ancora partire». Dall’altro lato della “barricata” ci sono i volontari di Rete solidale, che invece con un atteggiamento meno “difensivo” rispetto a quello del Prefetto, parlano apertamente di una «misura di cui ancora nessuno sa nulla». 

I DETTAGLI

La misura, nel dettaglio, sarà rivolta ai migranti che non hanno più titolo per rimanere all’interno del circuito assistenziale. Secondo aspetto importante: si applicherà soltanto a chi volontariamente deciderà di aderirvi. Tutto funzionerà grazie a un triangolo, composto da Prefettura, associazioni e infine il singolo migrante. La Prefettura gestirà le pratiche ufficiali, le associazioni (ancora da individuare) garantiranno l’allestimento dei progetti di reinserimento dell’ex richiedente asilo e il migrante dovrà accettare la prospettiva. Si tratta di cittadini che desiderano tornare nei propri Paesi d’origine, dal Pakistan all’Afghanistan, sino agli Stati dell’Africa subsahariana. La strada in questo senso era stata asfaltata dall’ex Provincia, che aveva permesso il rimpatrio di alcuni cittadini ghanesi. Stavolta però il meccanismo è più complesso, perché al migrante si dovrà garantire un effettivo reinserimento lavorativo nel Paese d’origine. In questo senso collaboreranno le associazioni, che dovranno mettersi in contatto con il tessuto economico dei vari Stati. I fondi a disposizione del progetto raggiungono i 5 milioni di euro. Ma alla macchina sembra mancare la chiave per l’accensione.  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino