PORDENONE - Ougno di ferro del prefetto contro lo spaccio della droga. Prima di tutto nelle scuole, ma anche nel resto della città. E Maria Rosaria Maiorino ha in...
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Ecco da dove nasce la richiesta che ieri, in un incontro informale, il prefetto Maria Rosaria Maiorino ha presentato nelle mani di Giorgio Simon, direttore generale dell’Azienda sanitaria pordenonese. Si sta parlando di un macchinario costoso e sofisticato in grado di riconoscere in pochi secondi le caratteristiche di una determinata sostanza, e anche di dare a questa sostanza un nome e un cognome. Tradotto e semplificato, il dispositivo tecnologico chiesto dalla Prefettura servirebbe a riconoscere la droga.
COME FUNZIONA
Le sostanze stupefacenti assunte da una persona nei diversi modi si possono rintracciare con relativa facilità. Bastano delle analisi del sangue o del capello: i risultati diranno se ci sono tracce dell’assunzione di droga nel corpo della persona sottoposta al test. Le forze dell’ordine hanno a disposizione anche dei sistemi istantanei che rilevano la presenza (ad esempio nella saliva) delle tracce di stupefacente. A Pordenone, però, non è presente un macchinario in grado di determinare se una certa sostanza sia effettivamente proibita dalla legge o meno. In poche parole, non è facile - su due piedi - accertarsi che una polvere bianca sia al 100 per cento cocaina oppure che una foglia verde sminuzzata sia marijuana. Ecco perché dalla Prefettura è partita la richiesta. Il macchinario in questione deve necessariamente essere a disposizione dell’ospedale: solamente il personale medico specializzato saprebbe come utilizzarlo con precisione. «È un dispositivo simile a quello che serve per analizzare il sangue e scovare le sostanze all’interno del corpo - spiega Giorgio Simon -, solamente che in questo caso ad essere analizzata immediatamente è la sostanza, senza bisogno che sia stata assunta in precedenza da una persona».
IL QUADRO
Un macchinario del genere attualmente a Pordenone non esiste. L’ospedale dell’Angelo di Mestre è il centro specializzato più vicino nel quale poter portare una sostanza da analizzare. Il problema è il costo, molto elevato anche per un ente strutturato com’è un’azienda sanitaria. Il macchinario “anti-droga” costa 300 mila euro. A Pordenone, dov’è stata ravvisata la possibilità di acquistarlo, si dovrebbe procedere a una variazione di bilancio. I soldi naturalmente dovrebbero essere chiesti direttamente alla Regione. Ma il fatto che a muoversi sia stata in prima persona Maria Rosaria Maiorino, prefetto di Pordenone, potrebbe rappresentare un acceleratore naturale della procedura. Perché la lotta all’abuso e allo spaccio di stupefacenti passa sì dalla prevenzione in età scolare, ma anche da una più capillare azione repressiva dello Stato. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino