Soldi in nero, Università e ospedale truffati. Il pm contesta a Litta 17 casi

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PADOVA - Si sono chiuse le indagini sul professore e ginecologo di fama internazionale Pietro Salvatore Litta. Il medico, dipendente dell'Università di Padova, è accusato dei reati di peculato e di truffa aggravata ai danni dell'Ateneo e anche dell'Azienda ospedaliera dove effettuava le visite nella Clinica ginecologica e ostetrica. Al camice bianco, 67 anni residente in Sestiere Cannaregio a Venezia ma domiciliato a Padova in zona Arcella, il pubblico ministero Silvia Golin, titolare delle indagini, ha contestato almeno diciassette casi, il corrispettivo di altrettante visite mediche, in cui avrebbe raggirato l'Università e l'Ospedale per trarne un indebito profitto. Difeso dagli avvocati Piero Longo e Carlo Covi del foro di Padova, ora il luminare rischia di finire alla sbarra. Tutto è partito da un filmato trasmesso dal programma Petrolio in onda su Rai Uno (filmato). Nel video integrale, acquisito in un secondo momento dagli uomini della Squadra di polizia giudiziaria della Procura, ci sarebbe la prova del reato di peculato commesso dal professore.


La giornalista Francesca Biagiotti, spacciandosi per una paziente, si è fatta visitare dal medico nella clinica Cittàgiardino a Padova. È stata sottoposta a una ecografia e per la prestazione, in regime di intra moenia, ha  allungato alla segretaria del medico 250 euro in nero. L'episodio è accaduto il 13 novembre del 2017. Gli inquirenti hanno poi passato al setaccio i computer della clinica, il telefono cellulare e il pc del professore, ma non hanno trovato altre di tracce di eventuali pagamenti in nero.

LA TRUFFAL'episodio più grave contestato al ginecologo Litta sarebbe però accaduto, il 15 dicembre del 2016, in Azienda ospedaliera nella Clinica ginecologica e ostetrica. Qui il medico avrebbe indicato all'Ospedale, falsificando il verbale, di avere effettuato su una sua paziente una mera visita specialistica quando invece la donna era stata sottoposta a una isteroscopia diagnostica. In sostanza ha procurato alla paziente un ingiusto vantaggio, perchè all'Azienda ospedaliera sono stati corrisposti 230,19 euro anziché 500,19 euro come previsto dal tariffario. Donna che, secondo l'accusa, veniva visitata anche in forma privata dal professore. Ma c'è di più perchè, ancora per l'accusa, il camice bianco, nato a Carosino in provincia di Taranto, avrebbe effettuato almeno cinque visite, nei giorni del 19 giugno e 27 novembre del 2017, nella Clinica Cittàgiardino durante orari nei quali avrebbe dovuto essere presente in Azienda ospedaliera. Così facendo avrebbe indotto in errore sia l'Ospedale e sia l'Università, procurandosi un ingiusto profitto per avere incassato denaro per le visite effettuate in regime di libera professione e di fatto danneggiando l'Azienda ospedaliera perchè ha mancato di versare la quota dei proventi dell'attività privata. Quindi, dal giugno all'ottobre del 2017, pur non avendo l'autorizzazione a professare in regime di intra moenia avrebbe effettuato visite nella Clinica Cittàgiardino a sue nove pazienti. Anche in questa occasione, sempre secondo l'accusa, il luminare non avrebbe versato alcuna quota del suo guadagno all'Azienda ospedaliera, inoltre avrebbe indotto in errore Università e Ospedale sul rispetto del vincolo dell'esclusività. 
Marco Aldighieri
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Il Gazzettino