Medico contestato cambia incarico: «Ma il paziente sapeva già la verità»

Medico contestato cambia incarico: «Ma il paziente sapeva già la verità»
CASTELFRANCO - «Sono rammaricato, ho sempre cercato di essere professionale ed empatico». Queste le parole del medico del reparto di oncologia del quale i parenti di...

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CASTELFRANCO - «Sono rammaricato, ho sempre cercato di essere professionale ed empatico». Queste le parole del medico del reparto di oncologia del quale i parenti di alcuni pazienti avevano denunciato i modi troppo bruschi di comunicare le diagnosi. La decisione del direttore dell'Usl 2 Francesco Benazzi è quella di «impiegare il medico nel laboratorio di day hospital affinché possa riconquistare la necessaria serenità per continuare a svolgere il proprio, non facile, lavoro». Questo l'esito dell'incontro tenutosi nella tarda mattinata di ieri tra il direttore di oncologia e il medico. L'incontro richiesto dallo stesso Benazzi, aveva il preciso obiettivo di fare chiarezza sulla vicenda lamentata dai famigliari di alcuni pazienti del medico che, stando alle loro parole, aveva modi bruschi e troppo diretti, nel rendere nota la condizione di terminale al malato.


 «Sono sgomento e amareggiato e vorrei anch'io fornire la mia versione dei fatti poiché sono stato diffamato e calunniato solo per aver fatto il mio lavoro con scienza e coscienza afferma il medico - Il paziente dopo aver eseguito la biopsia venne da me informato e consapevole della gravità, ha accettato di iniziare le cure specifiche. In tale circostanza e successivamente non mi è stata mai comunicata da parte dei suoi familiari, la loro volontà di non dire al paziente la verità
».
 
«Anche perché - spiega il medico - nessuno di loro ha mai chiesto un colloquio con il sottoscritto. Egli puntualmente ogni mattina mi chiedeva del suo decorso e io rispondevo cercando di essere professionale ed empatico come sempre nel rapporto che ho con i miei pazienti. Anche in questa circostanza non ho mai visto nessuno dei suoi familiari che si preoccupasse di chiedermi come procedeva il quadro».


Arriva poi il 7 marzo, giorno nel quale risale l'ultima corrispondenza che la famiglia ha inviato al primario del reparto, dove raccontava il trattamento, a loro dire, poco consono del medico nei confronti del paziente. LA RICOSTRUZIONE «Il 7 marzo, come ogni mattina entravo in stanza e come sempre invitavo la figlia, che pretendeva di rimanere durante la mia visita, ad accomodarsi per pochi minuti ricorda - Al temine della visita il paziente mi dice in maniera inequivocabile: Quanto mi rimane da vivere?, io un po' sorpreso gli rispondo, testuali parole: Purtroppo non ho la sfera magica, e non posso fare alcuna previsione, sappia tuttavia che farò tutto il possibile per lei come per tutti i malati e per dimostrare il mio affetto e la mia solidarietà gli ho preso la mano e lui mi ha ringraziato. Poi, mentre ero in corridoio sento un uomo urlare e venirmi dietro dicendo: come si è permesso? Non sa fare il suo lavoro». Una versione che presenta dei punti comuni rispetto a quella dei famigliari ma anche altri discordi, primo tra tutti il tono usato con il paziente. LA TENSIONE «Certamente il lavoro in reparti così difficili in cui si trovano numerosi pazienti terminali sottopone le persone a prove di tensione molto elevate spiega il dottor Benazzi L'Usl 2 farà tutte le verifiche del caso. L'equilibrio, da parte di tutti, a volte si rompe quando si è costretti a vivere determinate circostanze, ma subito deve essere riconquistato soprattutto per il bene proprio». 
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Il Gazzettino