La morte di Paolo Vaj: «Omicidio volontario, l'hanno ubriacato per ucciderlo»

Angelica Cormaci (a sinistra) e Patrizia Armellin accusate di omicidio volontario premeditato per la morte di Paolo Vaj
VITTORIO VENETO - Omicidio volontario premeditato, con l'aggravante della minorata difesa, della convivenza e di aver agito di notte. Queste le conclusioni a cui è...

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VITTORIO VENETO - Omicidio volontario premeditato, con l'aggravante della minorata difesa, della convivenza e di aver agito di notte. Queste le conclusioni a cui è arrivato il sostituto procuratore della Repubblica di Treviso Davide Romanelli che ha chiuso le indagini sull'omicidio di Paolo Vaj, l'uomo ucciso nella casa di Via Cal dei Romani nella notte tra il 18 e il 19 luglio scorso. Il 57enne venne ritrovato asfissiato, il corpo coperto di lividi e l'autopsia dirà che prima di morire aveva bevuto molto tanto da essere in stato alterazione. Particolare questo su cui la Procura si è soffermata, tanto da arrivare a dire che «le corree (la Armellin e la Cormaci, ndr) lo hanno indotto a bere» per attuare il disegno criminogeno. Patrizia Armellin deve rispondere anche di estorsione nei confronti del marito, minacciato di «spaccargli la testa» o «buttarlo giù dalle scale» se non avesse acconsentito a pagarle, tra il 2017 e il 2019, oltre 11mila euro, con bonifici di importo fino a 500 euro. Praticamente all'uomo sarebbe stato imposto di versare più di un terzo dello stipendio.

LA RICOSTRUZIONE
La ricostruzione degli ultimi istanti di vita di Paolo Vaj fatta da Romanelli è minuziosa. I tre in una prima fase hanno un violento litigio nella camera da letto principale; il 57enne viene colpito da «una trave lunga almeno un metro», probabilmente dice la Procura l'asta che viene utilizzata per aprire e chiudere le tende, agli arti superiori e inferiori e alla testa, frontalmente e dietro alla nuca. Qualche minuto e l'alterco riprende, questa volta nella cameretta: Vaj è intontito dalla grande quantità di alcolici che ha bevuto, gli vengono immobilizzate le braccia e la Armellin e la Cormaci «gli comprimono il volto con un cuscino, esercitando poi una violenta pressione sullo sterno, tale da cagionare la morte da asfissia per costrizione toracica, con fratture costali bilaterali da sfondamento». La Cormaci aveva raccontato che durante la colluttazione con il 57enne avvenuta quella sera lo avrebbe spinto sul divano letto della camera piccola della casa e, dato che l'uomo non voleva mollare la presa ai polsi della Armellin, gli si sarebbe messa a cavalcioni e poi avrebbe premuto il cuscino contro il viso. Tesi smentita dall'autopsia, secondo cui verosimilmente a mettersi sopra a Vaj furono entrambe le donne. A quel punto il 57enne, che come confermato dai tossicologici aveva assunto molto vino, non prende più aria. Per lui la situazione diventa disperata quando gli viene schiacciato il cuscino sulla bocca: non sarebbe più riuscito a respirare, morendo di asfissia. 
LE LESIONI

Nella chiusura indagini non c'è traccia della legittima difesa invocata dalle due donne. Per il medico legale Paola Confortin, che era stata ascoltata il 24 gennaio in audizione davanti al gip Angelo Mascolo, i segni al collo che Patrizia Armellin attribuiva ad un stretta di Vaj, non erano dovuti come invece sostenuto dalla 52enne e dal consulente del collegio difensivo, da un tentativo di strangolamento e i lividi alle braccia e ai polsi non sono identificabili come lesioni da difesa o aggressione e soprattutto non è possibile datarli. Per Romanelli la Armellin potrebbe essersi procurata le lesioni quando era già in carcere. Sulla premeditazione la Procura si è basata sui messaggi telefonici scambiati dalle due donne. «Lo voglio morto», scrive la Cormaci alla Armellin in un sms solo qualche settimana prima dell'omicidio di Paolo Vaj. La chat tra le donne, che sono detenute in custodia cautelare nel carcere femminile di Venezia, è rimasta nella memoria dello smartphone della 24enne siciliana che neppure un mese prima dell'omicidio scrisse a Patrizia: «La deve smettere, altrimenti io lo uccido». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino