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PORTO VIRO (ROVIGO) - La mano si è stretta sul manico del martello e si è alzata ed abbassata colpendo più volte, almeno tre o quattro. Al busto. Poi, anche alla testa. Colpi letali, che hanno portato alla morte di Giovanni Finotello, 56 anni. Ad impugnare il martello come un'arma micidiale è stato il figlio Gabriele, 29 anni, che lavora come operatore sociosanitario.
Una tragedia che ha squarciato la tranquillità di Taglio di Donada, a Porto Viro, nel cuore del Basso Polesine, e che si è consumata nel primo pomeriggio di ieri all'interno della casa dove i due vivevano insieme, da soli, una bifamiliare rosa, all'estremità di una strada senza uscita. A scatenare il gesto del figlio contro il padre un violento litigio, deflagrato verso le 14.30, così almeno come sembra emergere dalle prime testimonianze raccolte nel vicinato. Anche se, nell'abitazione al piano inferiore, dove vive il fratello della vittima e zio del parricida, in quel momento non c'era nessuno. Padre e figlio erano da soli.
L'omicidio e la telefonata
Ed è stato proprio il figlio, dopo il gesto scellerato, capendo la gravità delle ferite del padre, a chiamare i soccorsi. La corsa dell'ambulanza, che ha raccolto l'uomo agonizzante, a sirene spiegate verso il presidio ospedaliero portovirese, la Casa di cura Madonna della Salute, dove, però, nonostante i disperati tentativi, l'uomo si è spento attorno alle 16. Nel frattempo i carabinieri avevano già accompagnato Gabriele, che compirà 30 anni ad aprile, nella caserma di Porto Viro, dove sono state subito raccolte le sue prime dichiarazioni, alla presenza del sostituto procuratore Andrea Bigiarini, pm di turno, accorso da Rovigo. Tutto, all'interno della casa sembrerebbe essere stato lasciato come si trovava al momento in cui il raptus ha provocato le sue estreme conseguenze.
Il lavoro
Se da un lato è ben chiaro cosa sia purtroppo accaduto, dall'altro diventa difficile inquadrare un simile fatto. Del quale nessuno, fra quanti conoscono il figlio, sembra riuscire ancora a darsi una spiegazione. Il giovane, dopo aver frequentato gli appositi corsi, era diventato Operatore socio sanitario, trovando lavoro prima ad Adria, poi agli Istituti Polesani di Ficarolo, struttura che accoglie persone con disabilità psichica. Il padre invece, ha fatto vari lavori, dal camionista all'ortolano, ma al momento era disoccupato e non stava vivendo un momento sereno, passando molto tempo al bar. Il matrimonio con la moglie era entrato in crisi da qualche tempo e i due si erano separati, con la donna che è andata a vivere altrove. E anche il figlio minore, fornaio, si era trasferito e non viveva più nella casa di via Siviero 50.
Terzo omicidio in un mese
Erano rimasti solo Gabriele e Giovanni. Proprio quella casa rosa, che dopo gli accurati sopralluoghi degli inquirenti è stata posta sotto sequestro ed è rimasta vuota e silenziosa custode del dramma, con i sigilli alla porta. Si tratta del terzo omicidio avvenuto in Polesine in meno di un mese. Tutti in ambito familiare. Il 26 gennaio, infatti, Rosangela Dal Santo, 57 anni, ha accoltellato e ucciso il compagno Costantino Biscotto, 55enne, tentando poi il suicidio. Il 4 febbraio scorso, a Sant'Apollinare, invece, un altro parricidio, con un 17enne sinti, che è accusato di omicidio premeditato insieme alla fidanzata 26enne Annalisa Guarnieri, per aver colpito a morte con un machete il padre Edis Cavazza, 45 anni.
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Il Gazzettino