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VENEZIA - «Non ho intenzione di usare permessi premio. Io da qui voglio uscire solo da innocente». Monica Busetto, condannata a 25 anni per l’omicidio della vicina di casa Lida Taffi Pamio, è stanca ma non si arrende. Il suo messaggero con il mondo esterno è il giornalista Massimiliano Cortivo, che ha raccolto le sue parole in carcere a Verona per portarle ieri alla platea di amici e colleghi che si sono ritrovati al Patronato Salesiano Leone XIII a Castello per parlare del suo caso in occasione della presentazione del libro “Lo stato italiano contro Monica Busetto”, scritto dallo stesso Cortivo insieme a Lorenzo Brusattin dell’università Pompeu Fabra di Barcellona. A distanza di quasi undici anni da quel 20 dicembre 2012, il giorno di quel delitto che cambiò per sempre la sua vita, qualcosa ha riacceso la sua speranza: il 24 gennaio, alle 13, la Corte d’Appello di Trento prenderà in esame l’istanza di revisione del suo processo. «Ci voglio credere, spero che leggano bene tutte le carte e che si convincano della mia innocenza. Allo stesso tempo sono molto preoccupata», continua Busetto. Il motivo è semplice: sarà una partita secca.
Dopo l’esposizione delle motivazioni della richiesta di revisione da parte dei suoi legali, gli avvocati Stefano Busetto e Alessandro Doglioni, la corte emanerà un verdetto: dentro o fuori, processo annullato e Monica libera o sentenza confermata e condanna da scontare fino alla fine.
LE MOTIVAZIONI
Non molte parole nei confronti di Milly Lazzarini, la donna che confessò l’omicidio dell’anziana e che, dopo inizialmente aver sostenuto di aver ucciso la signora Taffi Pamio da sola, al sesto interrogatorio aveva detto che Busetto aveva partecipato al delitto insieme a lei. Monica è arrabbiata, ovviamente, ma più per l’intera concatenazione di eventi che l’ha portata a questo punto. «”Mi ha rovinato la vita, mi hanno rovinato la vita”, continua a ripetere senza sosta», aggiunge Cortivo. Gli avvocati basano la decisione della richiesta di revisione sul conflitto di giudicati. Da una parte la condanna a 25 anni di Busetto, basata proprio sulle dichiarazioni di Lazzarini e sulle tracce di dna di Pamio ritrovate su una collanina a casa dell’Oss mestrina (appena 3 picogrammi, quantità bassissima secondo la letteratura forense e riscontrata solo al secondo esame, dopo che il primo test scientifico a Padova aveva dato esito negativo) dall’altra quella di Lazzarini, in cui il gup David Calabria sottolinea in più passaggi l’inaffidabilità delle dichiarazioni della donna, tanto da concludere nel suo dispositivo finale che «il ruolo di materiale compartecipe nel delitto in imputazione attribuito alla coimputata, giudicata separatamente, Busetto Monica, non ha trovato, alla stregua del compendio probatorio disponibile, adeguato riscontro». Un omicidio, due colpevoli. La parola, ora, passa di nuovo ai giudici.
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Il Gazzettino