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AVIANO (PORDENONE) - «Quando sono tornato a casa ho abbracciato mia figlia. Si chiama Giulia. Sì, proprio Giulia. Quelle immagini tremende mi rimarranno sempre nella mente». Antonio Scarongella, pordenonese dalle chiare origini pugliesi, ha 42 anni. È volontario del gruppo alpini del Friuli Occidentale. Unità cinofila. Il corpo di Giulia Cecchettin sabato mattina l'ha trovato lui. E il suo racconto inizia dalla fine, dal ritorno a casa e dalla «poca voglia di parlare». Solo quella di guardare negli occhi una figlia che porta lo stesso nome della 22enne trovata morta tra Piancavallo e Barcis.
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Un volontario esperto, Antonio. «Ma non siamo abituati a queste cose - spiega -. Siamo persone comuni». L'unica consolazione è per «il lavoro fatto da Jägeer, il cane di razza Flat coated retriver che era con noi». Scarongella è stato convocato dal coordinamento dell'unità cinofila la sera del 17 novembre. «Alle otto del mattino di sabato eravamo a Barcis - racconta il volontario -.
«Il cane mostra interesse per alcune rocce. Doveva abbaiare, invece mostrava un comportamento strano - spiega il volontario -. Allora sono sceso nel canalone e in una cavità tra le rocce ho notato dei sacchi di plastica neri. Ho chiamato il collega alla radio. "Avvicinati", gli ho detto. Abbiamo spostato i sacchi e intravisto degli indumenti azzurri macchiati di sangue. Si notava un corpo femminile». Antonio Scarongella in quel momento aveva portato a termine la sua missione. «Ho chiamato i vigili del fuoco a valle, a Barcis: ho detto loro che avevamo ritrovato un corpo femminile».
Un volontario non può dare un nome a un corpo. Ma in quell'esatto istante c'era poco di cui dubitare. La squadra assegnata alla quota più alta aveva trovato il cadavere di Giulia Cecchettin, scrivendo la parola fine a qualsiasi residua speranza. «Noi siamo volontari - continua a ripetere il 42enne di Pordenone che ha lavorato per la Protezione civile -, non siamo abituati a gestire questo tipo di tragedie. Sono immagini che non potrò dimenticare mai».
M.A.
Il Gazzettino