Un’errata diagnosi con un tumore alla vescica “non visto” dai medici dell’ospedale Santa Maria del Prato di Feltre, un’odissea per essere operata,...
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LA BATTAGLIA
«Stante il brevissimo lasso temporale intercorso (una settimana appena) - scrive il pm Simone Marcon - tra ecografia giudicata negativa e la corretta diagnosi si ritiene che l’iniziale errore dell’indagato (l’ecografista che non vide il tumore ndr), pure indubbio e censurabile in termini di colpa, non abbia avuto alcuna rilevanza sull’evolversi della malattia». Tutto inizia alla fine della primavera 2018 quando la donna fa un’ecografia di controllo per una pregressa malattia. Il referto è: «Vescica e pareti regolari». Una settimana dopo, però, la donna perde delle gocce di sangue dalla vescica e il medico curante la invia immediatamente a fare un’ecografia. Grazie a un medico esterno si scopre un tumore molto invasivo. A ottobre 2018 i medici del Santa Maria del Prato dichiarano la donna inoperabile. I famigliari anche di fronte alla diagnosi di inoperabilità, fortunatamente, non si arrendono: si rivolgono all’Istituto nazionale tumori e fanno una visita da uno dei massimi esperti della oncologia urologica, professor Pierfrancesco Bassi. Per il luminare non ci sono dubbi sulla necessità dell’operazione ed è lui stesso a eseguire l’intervento al Gemelli di Roma. Purtroppo ormai la situazione era, ormai, fortemente compromessa. Ma se l’avessero operata a ottobre?
IL “GIALLO”
Dopo un primo esposto a ottobre 2018, contro l’ecografista che non vide il tumore, è partito il secondo esposto alla Procura a maggio 2019, per la dichiarazione di inoperabilità. Era sparito inoltre il verbale dell’equipe multidisciplinare, che è obbligatorio per legge. Insomma l’inoperabilità non era stata scritta da nessuna parte. C’è stato anche un incontro con il direttore medico dell’ospedale di Feltre che non ha potuto che confermare che il verbale non risultava essere stato compilato. Le due inchieste penali originate dagli altrettanti esposti sono ancora in corso: la donna, con l’avvocato Zannin, si è opposta alla archiviazione della prima inchiesta e il gip è attualmente in riserva. Sulla seconda inchiesta, che vede più medici indagati, non si hanno ancora avuto notizie.
LO SFOGO
Nelle scorse settimane c’è stato il tentativo di mediazione prima della causa civile, ma l’Usl non si è nemmeno presentata e così è partito anche il processo civile in cui la donna chiede 700mila euro di danni. «Andranno tutti in beneficenza in caso di vittoria - dicono i famigliari - Noi vogliamo solo giustizia: che qualcuno ci dica se abbiamo torto e perché o se va tutto bene e perché. Ma se qualcuno ha sbagliato si proceda perché non deve succedere più». E pur di ottenere giustizia sono pronti ad arrivare alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino