VENEZIA - In principio fu un pestaggio. L'inchiesta Camaleonte è il risultato di quasi sei anni di investigazioni, cominciate il 2 aprile 2013 con quella che poteva...
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DITTE E QUOTE Vittime dell'aggressione di quel giorno sono i trevigiani Mariagiovanna Santolini e Stefano Venturin (non indagati), all'epoca compagni nella vita e nel lavoro, in quanto rispettivamente presidente e direttore generale della Gs Scaffalature di Galliera Veneta. Entrata in crisi nel 2008 sotto la precedente gestione, a causa dei mancati pagamenti e delle restrizioni creditizie, la ditta improvvisamente si risolleva fino ad acquistare il 50% della Sae D. Group di Campagna Lupia, impresa storicamente appartenente ai fratelli padovani Luca (al 60%) e Michele (al 40%) De Zanetti. Com'è possibile? Fra la primavera e l'autunno del 2012, Luca cede il suo 50% alla Sygnal che fa capo proprio ai Santolini-Venturin e l'altro suo 10% alla calabrese-vicentina Noemi Andrea Bolognino, figlia di Sergio e nipote di Michele, considerati i vertici della cosca in Veneto.
In quelle due vendite gli inquirenti individuano altrettanti episodi di estorsione ai danni di Luca De Zanetti, perpetrati proprio dai Bolognino e dai loro sodali. Il primo avviene intorno al 13 marzo, quando De Zanetti viene minacciato («Guarda che se non vai dal notaio ti ci porto... o coricato o in piedi»), al punto da trasferire il 50% delle azioni della Sae D. Group alla Sygnal, che a sua volta nella misura del 40% passa a Sergio Bolognino, grazie ad una procura speciale a «vendere a chicchessia, anche a sé medesimo, e per il prezzo che riterrà più opportuno», ottenuta fra il 10 e l'11 ottobre dalla Santolini. Il secondo atto estorsivo si verifica tra il 9 e il 17 ottobre, quando Sergio Bolognino esige l'ulteriore 10% della Sae D. Group: secondo l'accusa, i fratelli De Zanetti vengono ripetutamente schiaffeggiati e minacciati di essere ridotti «in piccoli pezzi», al punto da finire per dichiararsi «a disposizione» dei Bolognino. In un incontro fra tutti i protagonisti, peraltro, Luca pensa che la pretesa di Sergio sia stata fomentata da Venturin e lo aggredisce. Ecco come i calabresi non solo si insinuano, ma mettono pure i veneti l'uno contro l'altro, in un gioco delle parti in cui le vittime diventano a propria volta carnefici.
PUGNI E SCHIAFFI I rapporti fra i soci Bolognino e Santolini-Venturin sono sempre più tesi. Per esempio i calabresi impongono ai trevigiani di cambiare il loro commercialista con uno compiacente, oppure li intimidiscono con la tecnica dello struscio: il 13 marzo 2013, durante quello che verrà qualificato come un sequestro di persona, il guardaspalle di Michele Bolognino si avvicina a Stefano Venturin facendogli «sentire che aveva qualcosa sotto la giacca», un oggetto con «la forma di una pistola». Arriviamo così al fatidico 2 aprile, il giorno in cui vengono chiamati i carabinieri nella sede della Gs Scaffalature, come riferirà poi a verbale lo stesso Venturin: «Sergio ha iniziato a prendermi a pugni in faccia. Hanno picchiato anche Mariagiovanna, le hanno dato delle sberle. Hanno iniziato a minacciarmi: Uccido te e stermino tutta la tua famiglia...».
ACCUSA E DIFESA La notizia della scazzottata finisce sui giornali. Il deputato dem Alessandro Naccarato, componente della commissione Antimafia, presenta un'interrogazione parlamentare insieme alle colleghe Giulia Narduolo e Margherita Miotto, ribadendo «gli allarmi più volte lanciati sulla infiltrazione di organizzazioni mafiose in provincia di Padova». Così il 12 aprile sono i Bolognino a convocare una conferenza stampa. Affiancato dal fratello Michele e dalla figlia Noemi, Sergio si difende dalle accuse: «Il fatto che siamo originari della Calabria non vuol dire che siamo legati alla ndrangheta, questa è una discriminazione». Poi i calabresi si sfilano dall'operazione e a maggio Luca De Zanetti, con il plauso dei sindacati, annuncia di aver rilevato il 60% della Gs Scaffalature e di voler rilanciare la Sae D. Group.
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Il Gazzettino